domenica 24 febbraio 2013

Omelia nella Domenica del Pubblicano e del Fariseo



24 Febbraio 2013
Omelia nella Domenica del Pubblicano e del Fariseo

Carissimi, la Fede Ortodossa è nulla senza un cambiamento della nostra vita, senza la metania!
Se, infatti, la nostra vita spirituale è incentrata solamente sulle pratiche esteriori e le tradizioni ma non porta a un cambiamento reale, allora, carissimi, non abbiamo guadagnato nulla.

Purtroppo, sono molti coloro che si ritengono dei bravi Cristiani Ortodossi per il semplice fatto che osservano le regole del digiuno, frequentano le funzioni, fanno le loro preghiere. Eppure se non c’è amore, non c’è carità e il perdono verso gli altri, e la nostra vita è piena di gossip e di giudizi, la nostra Fede Cristiana Ortodossa non vale nulla!

Cristo ha condannato i Farisei non perché seguivano la Legge e le tradizioni della Fede giudaica ma perché essi lo facevano gonfi di orgoglio e di arroganza. Senza una metania, una conversione sincera e santità di vita, il loro incontro-scontro con Dio li ha condotti ad un vuoto del cuore.
Dato che la nostra Santa Fede Ortodossa è quella della tradizione e della struttura liturgica, è facile cadere nella trappola di essere niente di meno che un fariseo. Essere rigidi nell’osservanza di una delle pratiche ortodosse può facilmente condurci all’orgoglio e alla superbia.

Se riteniamo di essere migliori degli altri e orgogliosi della nostra devozione, non abbiamo guadagnato proprio nulla. Le pratiche esterne del Cristianesimo Ortodosso senza una sincera umiltà e metania (conversione) conducono lungo la strada della rovina spirituale.

La Chiesa è l’ospedale dell’anima, ma la guarigione può arrivare solamente se c’è l’impegno e lo sforzo da parte nostra. Se il tuo dottore ti prescrive una cura per la tua condizione ma smetti di seguire gli ordini del tuo dottore, allora non guarirai.  La Chiesa ha tutto il necessario per nostra trasformazione spirituale ma la guarigione viene se noi cooperiamo, collaboriamo al processo di guarigione.

Il nostro fine, il nostro obiettivo è la santità (la salute, la guarigione); essa è il risultato diretto dell’esserci sottomessi con tutta l’umiltà ad una vita di conversione. Se faremo così, Cristo ci cambierà. Se al contrario seguiremo solamente i meccanismi della Fede Ortodossa, allora, non saremo migliori di quei Farisei che Cristo ha condannato.

Buon Triodion a tutti!
Padre Arsenios

lunedì 18 febbraio 2013

Tra coloro i quali vivono in Dio non c'è separazione...


"Tra coloro i quali vivono in Dio non c'è separazione, e la transitoria corruttibilità del nostro corpo non è di ostacolo alle loro relazioni e che l'amore coltivato già sulla terra acquista una saldezza ancora maggiore in cielo, poiché è lì la sua vera patria, e che un fratello il quale lascia questo mondo ci diventa ancora più caro e prossimo per la forza dell'amore. E tutto ciò che proviene da Cristo è eterno amore come è eterna la sorgente da cui tutto scaturisce. Essi (i Santi) hanno altresì appreso, grazie alle più elevate facoltà del loro spirito, che anche la Chiesa trionfante nei cieli deve pregare, e in effetti, prega, per i fratelli pellegrini su questa terra. Hanno compreso che Dio ha concesso all'uomo la felicità più completa:quella della preghiera, poiché Egli non compie niente né dispensa alcun bene senza rendere partecipe del compimento della sua opera e dell'elargizione dei suoi beni la sua creatura,  affinché essa possa godere della sublime felicità di compiere il bene: l'angelo esegue i suoi ordini e gode già di questa obbedienza, il santo prega in cielo per i suoi fratelli di quaggiù e gode di questa preghiera. E tutto l'universo partecipa di questa suprema beatitudine di Dio:milioni di creature perfettissime escono dalle mani di Dio per poter godere di beatitudini sempre più sublimi, infinite come infinita è la felicità che viene da Dio"

(Nikolaj Gogol', Meditazioni sulla Divina Liturgia)

lunedì 11 febbraio 2013

E' il permanere in Cristo che santifica l'uomo


"...dopo di che viene intonato un inno di lode in onore del santo del giorno per annunciare che anche l'uomo può aspirare alla santità, così come è diventato santo colui che viene celebrato nell'inno: ed è diventato santo non per la propria santità, ma per quella di Cristo stesso. E' il permanere in Cristo che santifica l'uomo e in questi momenti egli è santo come è santo Cristo stesso:così il ferro, ogni volta che è messo nel fuoco, si trasforma esso stesso in fuoco ma si spegne in un attimo quando lo si allontana e ridiviene l'oscura e spenta sostanza che era"

(Nikolaj Gogol', Meditazioni sulla Divina Liturgia)


venerdì 8 febbraio 2013

Padre P.Deseille:La Chiesa Ortodossa e il movimento ecumenico

Punti di vista ortodossi sull'unità dei cristiani.
di Padre Placide Deseille

L'ecclesiologia ortodossa è rimasta essenzialmente quella della Chiesa antica, malgrado alcune distorsioni dovute alle circostanze storiche e ai peccati degli uomini.

La Chiesa Ortodossa odierna si sente in perfetta continuità e senza alcuna rottura con tale ecclesiologia.

Essa ha coscienza d'essere puramente e semplicemente la Chiesa di Dio. La sua tradizione ha per contenuto normativo quanto tutti i cristiani, prima dell'epoca delle separazioni, hanno considerato assieme come facente parte del deposito apostolico, che si trattasse della fede stessa o della vita ecclesiale.

Dal punto di vista ortodosso, l'unità tra tutti i gruppi cristiani separati non può realizzarsi che con il ritorno alla Tradizione comune e universale della Chiesa: quant'è stato ricevuto come dogma di fede o vissuto come istituzioni comuni "dappertutto, sempre e da tutti" durante il millenario che ha preceduto le separazioni, senza nulla aggiungervi né togliervi. 
Aderendo alla pienezza della Tradizione, ciascuna di queste comunità si troverebbe ipso facto nell'unità della Chiesa universale.

Secondo quest'ecclesiologia patristica e ortodossa, l'unità visibile della Chiesa è, dunque, data da Dio e rimane identica a se stessa fino alla Parousia. Se si escludono gli ambienti ecumenici cattolici, l'ecclesiologia d'origine protestante che domina nel movimento ecumenico è d'ispirazione molto differente. La sua convinzione fondamentale è che l'unità visibile della Chiesa non è data, ma è da sperare e da costruire con la docilità di tutti all'azione dello Spirito Santo. Nessuna Chiesa empirica si può identificare alla Chiesa di Dio. Questa possiede un'unità reale ma invisibile attraverso le divisioni attuali. Il fine del movimento ecumenico è di manifestarla progressivamente con un'unità visibile che comporta una fede comune nelle verità giudicate come fondamentali, un'intercomunione sacramentale e un riconoscimento dei ministeri; le differenze istituzionali e dogmatiche possono rimanere considerate all'interno delle diverse chiese.

E' evidente che una tale concezione non può apparire agli occhi degli Ortodosso che una pan eresia. Il solo metodo ecumenico valido sarebbe, per l'Ortodossia, quello d'un confronto dottrinale totale e diretto, sfociante ineluttabilmente nell'accettazione della Verità e nel rifiuto dell'errore. In tutta la sua storia, l'Ortodossia non ha conosciuto che due categorie: la vera Fede (l'Ortodossia dal greco όρθος, "retto", "corretto" e δόξα, "opinione", "dottrina") e l'eresia, senza alcuna possibilità di compromesso tra le due.

E' dunque la Verità, non l'unità, che nell'opinione e nell'esperienza dell'Ortodossia, dovrebbe costituire il vero fine del movimento ecumenico. In questa esperienza l'unità non è altro che la naturale conseguenza della Verità, il suo frutto, la sua benedizione.

E' da notare che il termine stesso "eresia" è praticamente assente dal vocabolario ecumenico. Concludendo voglio riportare una citazione del Cardinale Willebrands: "l'anima di ogni ecumenismo è la conversione del cuore, la santità di vita, unite alle preghiere pubbliche e private per l'unità dei cristiani. Ma prima di tutto c'è l'opera della Grazia divina alla quale nulla è impossibile.


La mistica icona della Santa Chiesa  Ortodossa, l'Una e Indivisa Chiesa di Cristo.

giovedì 7 febbraio 2013

Omelia 3 Febbraio:15esima Domenica di Matteo


Domenica 15esima di Matteo (Matteo 22:35-46)

Omelia del nostro parroco padre Arsenio


35 e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» 37 Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente".38 Questo è il grande e il primo comandamento. 39 Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».

Il brano evangelico di oggi è un brano dalle parole, in un certo senso, esplosive; parole pronunciate non da un qualsiasi uomo, ma dalla Parola incarnata, l’autobiografia di Dio stesso, la quale ci mette a nudo, ci verifica, ci giudica, e ci fa capire come siamo: poveri, fragili, peccatori, incostanti e incapaci di amore, specialmente nel momento della prova. Ho l’impressione che ciascuno di noi costruisca un modo tutto suo di vivere la cosa più difficile ma non impossibile cioè la radicalità del messaggio evangelico. 

Ci sta tutto bene, accettiamo tutto quello che c’è scritto nel Vangelo (teoricamente) ma quando poi dobbiamo viverlo, farne esperienza, passare attraverso il crogiuolo della Croce, allora cerchiamo di accomodare questa parola di Dio, scomoda per i nostri comodi!
Se non ci convertiamo, se non c’è metanoia (conversione, cambiamento di pensare e di vivere), è impossibile amare Gesù e la controprova dell’amore è l’osservanza dei 10 Comandamenti

Se non c’è conversione, non potremo mai osservare ad litteram i due più grandi comandamenti: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con la tua mente e Ama il prossimo tuo come te stesso.
L’amore verso Dio passa attraverso l’amore verso il nostro prossimo: se non amiamo il nostro prossimo e non perdoniamo di cuore al nostro fratello, significa che non abbiamo mai conosciuto Gesù Cristo e questo è un serio impedimento all’accostarci alla Santa Comunione.
Dio ci ama follemente e vuole renderci perfetti nell’amore; Egli concretizza questo suo amore crocifisso, nelle prove, nei momenti più difficili ed assurdi che urtano con la nostra povera logica umana. 

Su questa parola di Gesù, dovremmo tutti confrontarci e fare un serio e attento esame di coscienza perché non possiamo giocare con la nostra anima, non possiamo giocare con la nostra Fede.
Sento dirmi:Να εχουμε υγεια! (Possiamo avere salute!) Καλο ειναι! (è una cosa buona) Ma cosa me ne faccio se ho la salute fisica e poi perdo l’anima?! Crediamo o non crediamo che dopo la morte non c’è più possibilità di conversione (metanoia)?
Mettiamo sotto i piedi il nostro egoismo e la nostra superbia e umiliamoci, facendo obbedienza a quello che il Vangelo ci dice e la Chiesa ci consiglia. 
Amore significa sacrificio, perdita; Amore significa attaccare il nostro cuore a Dio solo ed essere infuocati dal Suo amore. Amin. 

domenica 3 febbraio 2013

Omelia del nostro parroco p.Arsenio nella festa dell'Ypapantì (Incontro del Signore con il vecchio e giusto Simeone)


2 Febbraio: Incontro del Signore con il vecchio e giusto Simeone
(Ypapantì)


Carissimi,
terminati i quaranta giorni, anche questa volta, come per la circoncisione all’ottavo giorno, la Santissima Genitrice di Dio e Giuseppe portano, secondo la legge Mosaica, Gesù il Signore Dio -fattosi carne- al Tempio per adempiere e compiere nella Sua persona divina le prescrizioni della Legge. Lui, il Signore, sottomettendosi alla Legge mosaica ci mostra che la strada della riconciliazione tra Dio e l’uomo è l’ubbidienza;  inoltre, dona anche a noi uomini la Legge divina -la quale troppo spesso viene  da noi trasgredita; infatti, è difficile per noi tagliare la propria volontà, tuttavia dobbiamo sforzarci di farlo obbedendo ai 10 Comandamenti e al Vangelo di Cristo, se amiamo il Signore.
Qual è il messaggio di questa festa, quaranta giorni dopo il Natale del Signore? Il significato   immediato è l’amore folle di Dio verso la sua creatura, per la quale Egli si umilia, si svuota di se stesso, si abbassa sino a prendere su di sé la nostra povera natura umana, unendola alla Sua persona divina per l’eternità, allo scopo di rivestirla della luce della Resurrezione.
Penso che, nella preghiera ufficiale della Chiesa, possiamo scoprire la ricchezza straordinaria e inesauribile di questa solennità (Festa Despotika e Theomitorica).  Gesù, piccolo e tenero bambino, il Verbo Dio pre-eterno che aveva parlato nei tempi antichi, Lui che aveva dato la Legge a Mosè, si sottomette alle prescrizioni legali, Lui che compie tutto l’Antico Testamento. Maria insieme al suo sposo Giuseppe funge da carro cherubico, da trono regale, da nube dello Spirito che porta il Signore della gloria, Lui che prima d’ora non si era mostrato a nessuno e che nessun uomo aveva potuto mai  contemplare (né Mose, né Elia, né Isaia); ma, il Signore Gesù, entrando nel Tempio, incontra il sacerdozio antico e il popolo eletto. Simeone e Anna sono, in un certo qual modo, i rappresentanti della vecchia economia di salvezza e a loro è concesso di vedere il Redentore del mondo.
Entrando il Signore nel Tempio, inaugura il nuovo sacerdozio, fatto non di prescrizioni legali, ma di un culto nuovo in Spirito Santo e Verità e il Tempio diventa il luogo, dove abita la presenza di Dio, il luogo dell’incontro tra Dio Salvatore e il Suo popolo. Quest’incontro pur avendo inizio, non ha una fine, perché, ogni qualvolta noi, singoli credenti, entriamo in chiesa, incontriamo il Signore presente realmente in una maniera assolutamente incomparabile – cioè la Parola e l’Eucarestia.
La Parola di Dio (la Bibbia, il Santo Vangelo) è il primo Corpo di Cristo, l’Eucarestia è questa Parola che diventa cibo; quando io medito il Santo Vangelo e mi accosto al Corpo e al Sangue di Cristo, avviene in me questo straordinario e mirabile incontro.
San Giovanni Damasceno parla del Cristiano come colui che, cibandosi ogni giorno del Vangelo, è simile a Maria Santissima la quale meditava la Parola di Dio e per opera dello Spirito Santo ha generato nella carne la stessa Parola che è Gesù Cristo. Allo stesso modo, anche noi, dobbiamo con l’obbedienza e la pratica delle virtù diventare Cristofori, e quindi generare in noi stessi il Cristo.
Questa Festa è chiamata in Occidente con il nome di: “Purificazione di Maria”. Era conosciuta già dal IV secolo a Gerusalemme, dove si festeggiava il 15 Febbraio, 40 giorni dopo la nascita di Cristo che era celebrata il 6 Gennaio. Fu introdotta a Costantinopoli dall’imperatore Giustiniano e nel 542 fu annoverata tra le 12 Feste Despotiche.