mercoledì 18 giugno 2014

Una malattia spirituale: l'acedia (sintomi e cura)



COSA E'?

L'acedia: terribile passione che contiene tutte le passioni. E' negligente l'anima che è malata dell'amore del piacere. L'acedia corrisponde a un certo stato di pigrizia o noia, ma anche di disgusto, di avversione, di stanchezza, di abbattimento, di scoraggiamento, di languore, di torpore, di indolenza, di assopimento, di sonnolenza, di pesantezza del corpo e dell'anima, essendo l'acedia capace di spingere l'uomo al sonno senza che egli sia realmente affaticato.

SINTOMI

E' un'insoddisfazione vaga e generale. L'uomo, quando è sotto il dominio di questa passione, non ha più il gusto per cosa alcuna, trova ogni cosa insulsa e insipida, non si aspetta più nulla di nulla.
Quando egli è solo non sopporta più di rimanere nel luogo in cui si trova: la passione lo spinge a uscirne, a spostarsi in uno o diversi altri luoghi.
Talvolta, egli si mette a errare e a vagabondare...ricerca a ogni costo contatti con altri. Tali contatti non sono obiettivamente indispensabili ma indotti dalla passione. Può accadere che l'acedia ispiri un'avversione intensa e permanente per il luogo in cui si risiede, che gli dia motivazioni per esserne scontento e lo porti a credere che starebbe meglio altrove. L'acedia può anche condurlo a fuggire dalle sue attività, particolarmente dal suo lavoro, di cui essa lo rende insoddisfatto e lo conduce allora a ricercarne altri, facendogli credere che questi saranno più interessanti e lo renderanno più felice. 
L'acedia è accompagnata dall'ansia, inquietudine, disgusto. Rende irritabili. A volte, le visioni della notte sono generate dall'acedia.

PERCHE' ATTACCA?

Per nuocere alla regolarità e alla costanza della disciplina ascetica di cui si ha bisogno

COME GUARIRE

Come dice sant'Antonio il grande, "il riconoscere di essere già ammalati dona sollievo".
Questa passione non si fugge ma occorre superarla resistendole:
-Non cedere al torpore o al sonno, praticando lavori manuali o facendo le grandi prostrazioni sino a terra (le metanie).
-Non credere che si guarisca uscendo, curiosando, facendo cose inutili.
-Il ricordo della morte: l'acedia per scoraggiarci nella lotta spirituale o nel nostro lavoro ci mette davanti la durata della vita e la fatica. Noi dobbiamo contrattaccare pensando che ogni giorno sia l'ultimo e impegnandoci a viverlo bene proprio perché è l'ultimo.
-l'importanza di un piccolo programma quotidiano, a cui dobbiamo essere fedeli scrupolosamente (es. mi alzo alle ore 08.00, prego un quarto d'ora o mezz'ora, poi faccio i miei lavori etc.)
Anche se il demone ci dice: "Eh, oggi sei stanco...non fare le preghiere della sera, non osservare la tua regola di preghiera". NO, noi dobbiamo farle...se non riusciamo a pregarle tutte almeno la metà. Gli uomini santi sono stati gli uomini d'akrivia (che in greco significa "osservanza precisa", nel nostro caso si tratta dell'osservanza precisa del loro programma quotidiano): Il giorno in cui morì il gheronda Iosif l'esicasta, i suoi discepoli trovarono annotato nel suo diario: "anche oggi ho pregato il vespro".
-Tuttavia, questi antidoti non hanno alcun valore, se non sono accompagnati dalla preghiera. Da solo l'uomo non può vincere le passioni, deve invocare l'aiuto divino. 
Preghiera con pazienza, speranza, perseveranza, con lacrime a cui deve partecipare anche il corpo attraverso le grandi prostrazioni (metanie).
Il nome di Gesù durante il giorno (Signore Gesù Cristo, abbi misericordia di me, peccatore) aiuta a fare grandi progressi. 

La vittoria sull'acedia porta tregua nella lotta spirituale perché essa contiene in sé gran parte delle passioni.

(piccolo sunto dal libro: 

Terapia delle malattie spirituali. Un'introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa


di Jean-Claude Larchet)





giovedì 12 giugno 2014

IL SALTERIO SECONDO I SANTI PADRI

Una fra le più suggestive testimonianze sul Salterio ci è data dal Discorso sull’Abate Filemone, che si trova nella Filocalia: 


Il profeta Davide mentre compone il Salterio


Ecco qual era la liturgia del santo vegliardo Filemone: la notte, salmodiava tranquillamente tutto il Salterio con i cantici e recitava una pericope del Vangelo. Per il tempo rimanente stava seduto, dicendo tra sé e sé: Signore, abbi misericordia! E questo per così tanto fino a non poterlo più pronunciare. Il resto lo concedeva al sonno, ma, all’ albeggiare, salmodiava Primo, poi si sedeva sulla sedia, rivolto ad Oriente, ora salmodiando, ora ripetendo a memoria un brano dell’Apostolo (le Epistole) e del Vangelo. Faceva così tutti i giorni, salmodiando e pregando incessantemente nutrendosi della contemplazione delle cose celesti, al punto che il suo spirito era spesso elevato nella contemplazione e non avrebbe potuto dire se fosse ancora sulla terra...Un giorno, un fratello gli chiese: "perché, Padre, trovi tanta dolcezza nel Salterio, più che in ogni altra Scrittura divina, e perché, recitandolo tranquillamente, parli come se fossi in conversazione con qualcuno?" Quello gli rispose: "Ti dico, figlio mio, Dio ha impresso la forza dei salmi nella mia povera anima, come avvenne per il profeta David. Non mi potrò più separare dalla dolcezza delle multiformi contemplazioni che vi si trovano. Perché i Salmi contengono tutta la divina Scrittura"

Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo
(Sal 1, 4. 7-8; CSEL 64, 4-7)

Il dolce libro dei salmi

Tutta la Scrittura divina spira la bontà di Dio, tuttavia lo fa più di tutto il dolce libro dei salmi. Pensiamo a quanto fece Mosè. Egli descrisse le gesta degli antenati sempre con stile piano. Vi furono circostanze, però, nelle quali sentì il bisogno di innalzarsi ad altezze liriche. Così quando in quel memorabile evento fece passare attraverso il Mare Rosso il popolo dei padri, vedendo il re Faraone sommerso con il suo esercito, dopo aver compiuto cose superiori alle sue forze, si sentì profondamente ispirato e cantò al Signore un inno trionfale. Anche Maria, la profetessa, prendendo il cèmbalo, esortava le altre sue compagne dicendo: «Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!» (Es 15, 21).

 La storia ammaestra, la legge istruisce, la profezia predice, la correzione castiga, la buona condotta persuade, ma nel libro dei salmi vi è come una sintesi di tutto questo e come una medicina dell’umana salvezza. Chiunque li legge, trova di che curare le ferite delle proprie passioni con uno speciale rimedio. Chiunque voglia lottare, guardi quanto si dice nei salmi e gli sembrerà di trovarsi nella pubblica palestra delle anime e nello stadio delle virtù e gli si offriranno diverse specie di gare. Si scelga fra queste quella alla quale si riconosce più adatto, per giungere più facilmente alla corona del premio.

Sant'Ambrogio, vescovo di Milano
Se uno ama di ripercorrere e di imitare le gesta degli antenati, troverà tutta la storia dei padri raccolta in un solo salmo, e si procurerà con una breve lettura un vero tesoro per la memoria. Se altri vuol conoscere la forza dell’amore della legge che tutta sta nel vincolo dell’amore, poiché «pieno compimento della legge è l’amore» (Rm 13, 10) legga nei salmi con quanto sentimento di amore uno solo si è esposto a gravi pericoli per respingere il disonore di tutto un popolo e in questa trionfale prova di valore riconoscerà una non minore gloria di amore.

E che dirò del carisma profetico?Ciò che altri hanno annunziato in maniera confusa, solamente a Davide appare promesso con chiarezza ed apertamente. Sentì, infatti, che il Signore Gesù sarebbe nato dalla sua stessa stirpe, come gli disse Dio: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono!» (Sal 131, 11). Nei salmi Gesù non solamente è preannunziato nella sua nascita per noi, ma accetta anche la sua passione, come causa di salvezza. Per noi muore, risorge, sale al cielo, siede alla destra del Padre. Ciò che nessun uomo avrebbe mai osato dire, lo ha annunziato il salmista profeta e poi lo ha predicato nel vangelo lo stesso Signore.


lunedì 9 giugno 2014

Storia e spiritualità greca nella terra idruntina (Di Giuseppe papàs Ferrari)

Spiritualità greca nella terra idruntina
Di Giuseppe papàs Ferrari
(articolo pubblicato sull’Osservatore Romano, il 3 Ottobre 1980)

Papàs Giuseppe Ferrari (XX secolo), sacerdote dell'eparchia greco-cattolica di Lungro e professore di spiritualità bizantina presso l'Ecumenica di Bari. Nella sua diocesi si impegnò a ripristinare le tradizioni "ortodosse". (es. eliminando statue e devozioni latine medievali)




Otranto, chiesa bizantina di san Pietro, IX-X sec.

Otranto si trova, per la sua posizione, al confine tra l’ecumene dell’antica Roma e quello della nuova Roma. Nell’antichità classica era considerata il porto naturale e il punto d’incontro. Furono i Romani a sostituirlo, come porto, con Brindisi. Chissà, forse perché la città era troppo greca. Molte volte le ragioni vere sono diverse da quelle che appaiono. Durante l’impero bizantino Otranto riprende il suo ruolo antico. È proprio questo che mi fa pensare che non solo la sua superficie, ma tutta la sua mentalità, la sua anima, la sua spiritualità doveva essere rimasta greca e dava ogni garanzia alle autorità di Bisanzio, sia religiose che civili. 

Ecco perché la sua chiesa viene elevata a Metropoli autonoma, ricevendo come diocesi suffraganee Acerenza, Tursi, Gravina, Matera, Tricarico ecc. E quando più tardi Otranto passa (1) al rito latino, lo stesso papa Leone IX riconosce i suoi diritti metropolitani, pur dandole diocesi suffraganee diverse ed anche se la concezione di metropoli e di Arcivescovo è diversa nel diritto canonico latino e nel diritto ecclesiastico bizantino.

Anche quando per il declino dell’impero romano d’oriente e per le circostanze storiche della Puglia Otranto è di rito latino e la sua fedeltà (2) al papato è fuori discussione  , la sua cultura greca doveva essere ancora assai viva. Ancora l’11 agosto del 1370 papa Urbano V sceglieva l’arcivescovo di Otranto, Giacomo d’Itri, per visitare i monasteri basiliani del regno di Sicilia e lo stesso arcivescovo era già stato scelto per esaminare i libri liturgici degli italo-greci. Segno che la S. Sede gli riconosceva una particolare competenza  nella conoscenza del mondo religioso greco.

Otranto, rovine del monastero italo-greco di Casole, distrutto dai Turchi nel 1480.

Se i centri diocesani volontariamente o perché costretti, erano ormai tutti latinizzati, la presenza greca in Puglia rimaneva ancora fortissima e non si estinse che molto più tardi. Prova evidente che la religiosità delle popolazioni era sempre greca e per molti secoli i due riti convissero insieme, né si può rifiutare, almeno come ipotesi, che i vescovi presi da quelle popolazioni potessero essere latini per ragioni di saggezza politica, ma greci per convinzione spirituale.


Cattedrale di Otranto, affresco.

Il codice brancacciano della Nazionale di Napoli (I-B-6) ci dà un elenco preciso sullo stato della religiosità greca del Salento al sec. XVI. Vi è un numero di Castelli, cito le parole testuali del codice: “dove si parla greco solamente e dove si fanno l’offici greci solamente e cioè: Solito (sic), Sternatia, Cannule, Sturdà, Niviano, Zullino”. Una seconda categoria è composta di quei paesi dove si parla italiano ma i due riti convivono. Essi sono: Altamura, Montesardo, Ruggiano, Padu, Gagliano, Ruffiano, Buggiardo (sic), Moriciano, Giurdignano, Mondervino, Galatone, Scurrano, Salignano, Maliano, Magle, Otranto, Abbazia di S. Nicola di Casule. E ancora una terza categoria dove le popolazioni parlano ancora le due lingue (greca e italiana) e i due riti convivono: S. Pietro in Galatina, Aradei, Noe, Martano, Castrignano, Melpignano, Calimera, Corigliano, Cursi, Bagnolo. Il medesimo codice ci offre anche un piccolo elenco di paesi stanziatisi nel Tarantino e composto non di italo greci, ma di immigrati greci e albanesi venuti in Italia alla fine del secolo XV e nei primi decenni del XVI dopo l’occupazione della Balcania da parte dei Turchi. Essi sono: Carosino, Belvedere, La Rocca, Faggiano, S. Giorgio, S. Crispiere, Monteiasi, S. Martino, Casalnuovo, Fragagnano. Il ms. fa precedere quest’ultimo elenco da questa nota: “Quarta classe di certi Castelli e ville Albanesi sotto la diocesi di Taranto i quali fanno l’officio greco e vivono scorrettamente (sic) a loro modo”. 


Otranto, chiesa bizantina di San Pietro, affresco della Lavanda dei Piedi.


Il celebre Antonio Arcudio, in una lettera indirizzata al Cardinale Sirleto, in qualità di Protopapa (Arciprete greco) di Soleto, nel 1580, in difesa dei riti greci e contro le accuse dei latini, ci spiega il termine scorrettamente” usato dal manoscritto di Napoli, dicendo che gli italo-greci erano stati sempre fedeli alla religione cattolica, mentre causa di tutti i mali sono (cito le sue parole): “…una congerie di vagabondi Albanesi, cattivacci e scismatici” (Riv. St. Calabrese, a. VI, Ser. II fasc. 1 p.55). In realtà gli ultimi immigrati nell’Italia Meridionale, Greci e Albanesi, fino al 1700 non accettarono mai altra giurisdizione religiosa all’infuori di quella del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Né, d’altronde, vi è mai stato, prima o dopo di allora, alcun atto ufficiale di un loro passaggio dall’ortodossia al cattolicesimo latino o greco, come, invece fu fatto per i vari gruppi greco-cattolici, come Melchiti, Ucraini, Rumeni etc.


Carpignano Salentino, Cripta di Santa Cristina, uno dei tanti gioielli del Salento Ortodosso

Esaminando sempre il manoscritto napoletano già citato, troviamo, alla fine del 1500, un lungo elenco di preti e di diaconi greci, in buona parte coniugati. Ecco alcuni nomi. A Corigliano: Pietro Antonio Lega, Alessandro Indrino, Antonio Lollo, Ferdinando De Mattheis, Lupo De Angelis, Cristaldo Renna, tutti preti greci; più due chierici. Giurdignano, di cui è barone Francesco Prototico (sic), di Otranto, ha 150 famiglie di rito latino; per i Greci vi è un sacerdote celibe (il ms. lo chiama “castus presbiterus”), vi sono due diaconi e un chierico. A Muro Leccese: un sacerdote coniugato. A Giuggianello: un sacerdote, Antonio Rizzo, vedovo. A Palmariggi l’ultimo prete greco fu Francesco Antonio Federico. A Melpignano, nella visita pastorale del 12 Dicembre 1607, risulta il seguente clero greco: sacerdote Elia De Aloisio, diacono Giovanni Luca Fenestra e tre chierici tutti coniugati. A Martano  quattro ecclesiastici. A Castrignano dei Greci risultano due sacerdoti latini e dieci greci coniugati. A Calimera: dodici sacerdoti tutti greci e coniugati, di cui tre vedovi. A Martignano: dieci sacerdoti greci coniugati. A Sternatia, nella visita del 27 Settembre 1608, due sacerdoti greci e nove chierici. A Zollino: quattro sacerdoti coniugati, di cui uno vedovo. A Cursi: cinque preti greci. In una lettera del clero di S. Pietro in Galatina del 10 Aprile 1570 risultano le firme di cinque sacerdoti greci, quattro diaconi e altri ecclesiastci inferiori. Alcuni firmano in greco. Nella stessa Otranto, nonostante la presenza dell’Arcivescovo latino, che da tempo spiegava tutto il suo zelo per far scomparire ogni traccia di rito greco, come risulta da numerosi documenti, ancora nel 1684 troviamo in funzione tre chiese greche regolarmente officiate dal clero greco (Arch. St. Ser. IV, T. VI, p.100)

Otranto, Chiesa bizantina di San Pietro, affresco del Battesimo di Cristo

Per conchiudere possiamo asserire che ancora nel 1700, nonostante che ogni giorno si assottigliasse sempre più, per un complesso di cause, nelle due diocesi di Otranto e di Castro, molte popolazioni professavano ancora il rito greco e le più tenaci a non volersi spegnere sono state, oltre a parte della stessa città, nell’Archidiocesi di Otranto, le popolazioni di Corigliano, Giurdignano, Muro Leccese, Giugianello, Palmariggi, Melpignano, Martano, Castrignano, Calimera, Martignano, Sternatia, Zollino, Cursi. E nella diocesi Castro (poi soppressa nel 1793) i seguenti casali, oltre a Castro stessa: Diso, Vignacastrisi, Castiglione, Andrano, Marittima, Cerfignano, Cocumola, Vitigliano, Ortelle, Spongano, Poggiardo, Vaste, Nociglia, oltre a un numero di villaggi oggi distrutti come S. Giovanni Calavita, Casalicchio, Capriglia, S. Giovanni Malcantone, Torre Padule, Casa Massima, Torricella, Murtole, Belvedere, Principiano, Trunco, Torre Macchia, Cellino ecc.


Castello di Acaya (Lecce), affresco della Koimisis della Madre di Dio.


Generalmente i sistemi per sopprimere il rito greco furono sempre e ovunque i medesimi: erigere una o più parrocchie latine dove esse non esistevano, accanto a quelle greche e poi favorire il passaggio, vessando le popolazioni greche e molto di più il loro clero; premiando invece quello latino. Citiamo il caso di Soleto, che, a quanto sembra, fu per secoli sede di un vescovo greco. A ricordo di questo vi era rimasta una collegiata nella chiesa madre con rendite cospicue. All’ultimo arciprete greco fu proposta la soppressione della collegiata e l’assegnazione di tutte le sue rendite a lui unico parroco, a condizione che passasse al rito latino. E il patto funzionò, con la fine, così, del rito greco a Soleto. Esaminando i documenti che si riferiscono a queste vicende, spesso si notano contraddizioni tra l’uno e l’altro. Sono carte che bisogna saper leggere, perché, spesso, la verità è tra le righe.  Così nelle relazioni che vescovi e baroni mandano a Roma e a Napoli si tende sempre a diminuire il numero del clero e delle popolazioni greche, come pure a sottolineare disordini molte volte inesistenti, quasi sempre interpretando male il loro operato e i loro riti. Del resto non si devono escludere molti casi di morte naturale, perché il rito greco era giunto nel 1700 con il fiato grosso: privato dei vescovi, il clero senza una vera formazione, posti i greci sotto la giurisdizione degli ordinari latini locali che, almeno nel ‘6-700, non comprendevano questi riti, costretti a modificare alcuni riti per manifestare in quel modo il loro cattolicesimo.


Castro, resti con affreschi della cattedrale bizantina.


Mi sono indugiato su questo argomento per dire che la Terra d’Otranto, quando si parla di greci e di rito greco, non bisogna riferirsi soltanto ad alcuni monasteri cosiddetti basiliani. Il discorso sul monachesimo greco in Puglia è un altro. Qui, e più propriamente nelle due diocesi di Otranto e Castro, intere popolazioni erano ancora greche e professavano la religiosità bizantina fino al 1700.



Giuseppe Papàs Ferrari.

(1) l'autore usa irenicamente il termine "passa". Tuttavia, la Chiesa di Roma usò una politica che portò o alla completa scomparsa della Chiesa Greca (in Italia ma soprattutto nel Meridione) o al fenomeno dell'uniatismo, non accettato dalle popolazioni greche e albanesi come lo stesso autore scrive.


(2) La fedeltà dei vescovi di Otranto a Roma si può intendere o nell'ecclesiologia della Chiesa del primo millennio cioè del rispetto e del riconoscimento del primato d'onore della sede di Roma Antica (primus inter pares) o quando la sede di Otranto passò sotto la giurisdizione di Roma. L'argomento è tuttavia molto vasto e lo amplieremo in un altro articolo.



venerdì 6 giugno 2014

LA CHIESA ORTODOSSA E LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI (italiano & ελληνικά)

La nostra Madre Chiesa Ortodossa ha stabilito che 2 giorni all'anno (ma anche ogni sabato): il sabato prima della Domenica di Carnevale e il sabato prima della Pentecoste, si preghi per tutti i fedeli defunti e si faccia per loro la kolliva (il grano bollito) per essere benedetta dal sacerdote. Grande sollievo avvertono le anime dei nostri fratelli addormentati (in Cristo la morte è riposo in attesa del giudizio universale), volano, appena il sacerdote li commemora e legge la preghiera di perdono dinanzi alla kolliva. Non rimaniamo indifferenti a questo piccolo ma importantissimo gesto di amore! Così ha stabilito la Chiesa nel suo grande amore e nella sua saggezza materna. Il grano simbolizza la resurrezione. Come il chicco cade nella terra, muore, marcisce, e produce la spiga (Gv 12,20-33) così il Cristiano Ortodosso quando è sepolto, dal corpo senza vita -alla risurrezione dei morti che aspettiamo- rimbalzerà nella vita e vivrà per sempre nell'eternità.


Sentiamo cosa ci insegna il geronda Paisio a riguardo:
Essi (i defunti) sono coscienti di quello che stanno vivendo e cercano aiuto, ma non possono aiutare se stessi. Coloro che sono nell'Ade solo una cosa che vorrebbero Cristo: vivere cinque minuti per convertirsi. Noi che ancora viviamo, abbiamo margine per convertirci, mentre i poveri defunti non possono più migliorare da soli la loro situazione, e aspettano da noi aiuto. Quindi è nostro dovere aiutarli con la nostra preghiera.
Il pensiero mi dice che solo il dieci per cento dei morti in attesa di giudizio sono morti in stato di demoniaco e lì dove si trovano bestemmiano Dio come demoni. Non chiedono aiuto e nello stesso tempo non lo ricevono. Perché, cosa può far loro Dio? Come un figlio lontano dal padre, sciupa tutta la sua proprietà e per di più ingiuria suo padre. Ebbene, cosa ne fa di questo suo padre? Ma gli altri in attesa di giudizio, che hanno un po’ di cuore generoso, sentono la loro colpa, si convertono e soffrirono per i loro peccati. Chiedono aiuto e vengono aiutati positivamente dalla preghiera dei fedeli. Infatti, Dio dà loro una possibilità -ora che sono in attesa di giudizio di essere aiutati- fino a quando verrà la Seconda Venuta del Signore. E come se qualcuno è amico del re può intervenire e aiutare un incriminato, altrettanto così anche in questo caso, nella vita presente, se qualcuno è  "amico" di Dio, può mediare con Dio nella preghiera per il loro trasporto dei morti in attesa di giudizio da una "prigione" a un altra migliore. Questo può anche portarli in "camera" o in "appartamento".
Dio vuole aiutare coloro che si sono addormentati, perché soffre per la loro salvezza, ma non lo fa perché ha nobiltà. Cioè vuole dare diritto al diavolo di dire «Come vuoi salvarlo, se non ha lavorato?". Ma quando noi preghiamo per un defunto, noi gli diamo il diritto di intervenire. Dio si commuove maggiormente quando preghiamo per i defunti piuttosto che per i vivi.
Ecco perché la nostra Chiesa ha la kolliva e la commemorazione annuale. Essi sono il miglior avvocato per le anime dei defunti. Essi hanno la possibilità di togliere l’anima dall’inferno.



(Padre Paisio in sintonia con i Santi Padri, suggerisce che oltre ai kolliva e alle Liturgie in memoria degli addormentati, un altro mezzo potente che aiuta le anime degli addormentati sono le opere di misericordia verso i poveri- Inoltre, aiuta anche la recita del Komboskini “Signore Gesù Cristo dà riposo alle anime del tuo servo N. o dei tuoi servi N.N” e suggerisce di non mettere solo un nome ma di mettere molti nomi perché dice che: dal momento che il vagone (la preghiera) deve arrivare alla sua meta (Dio), è bene che non abbia solo un passeggero ma si riempia di passeggeri. Infine lo Geronda dice di pregare anche per quei morti che non hanno nessuno che preghi per loro e queste anime vengono aiutate quando preghiamo genericamente per tutti gli addormentati e anche nella Divina Liturgia è bene fare un trisaghion per tutti gli addormentati e alla fine dire “e per tutti quei nomi che non sono stati nominati”. Suggerisce anche di dare al sacerdote i nomi sia dei vivi ma in particolar modo i nomi degli addormentati per essere nominati nella Santa Proskomidia).

N.B. Nella Divina Liturgia si possono commemorare solo coloro che sono in piena comunione con la Chiesa Una e Indivisa (la Chiesa Ortodossa Cattolica), per gli altri sia vivi che defunti si può pregare con il komboskini, paraklisis etc. e nel caso dei defunti anche con un Trisaghion.

COSA OCCORRE PER LA COMMEMORAZIONE PER UN DEFUNTO
(*per commemorazione s’intende nella Divina Liturgia con kolliva alla fine)
·       Preghiera, digiuno, confessione e Santa Comunione;
·       Mettersi d’accordo con il sacerdote della chiesa;
·       Due prosfore;
·       Un piatto con kolliva;
·       Una bottiglia di olio d’oliva per le lampade;
·       Una bottiglia di vino puro per la Divina Liturgia (la Santa Comunione);
·     Quattro candele di cera pura per l’altare, la proskomidia e la commemorazione;
·       Un pacchetto di carboncini con incenso
·       Un pacchetto di candeline da distribuire ai fedeli che partecipano. Le candeline vengono accese al momento in cui si prega per l’anima del defunto;

·    Opere di carità ed elemosine- per quanto ci è possibile-  per il riposo delle anime e almeno una volta all'anno far celebrare la Divina Liturgia per 40 giorni o in qualche monastero, o in qualche chiesa o santuario dove si celebra ogni giorno. 

Il mnymosino di un vescovo in una chiesa in Grecia


Η Ορθόδοξη Εκκλησία μας, έχει ορισει 3 φορές τον χρόνο, να φτιάχνουμε ένα πιατάκι κόλλυβο, για να διαβαστεί απο τον Ίερέα. Μεγάλη ανακούφιση νιώθουν οι ψυχές των προκεκοιμημένων μας, φτερουγιζουν, μόλις ο Ιερέας αναφέρει τά ονόματα και διαβάσει την συγχωρητική ευχή. Ας μην αδιαφορήσουμε, για αυτό το μικρό ευλογημένο καθήκον. Μόλις τελείωσα το κόλλυβο, και γράφω τα ονόματα. Αυτό ορίζει η εκκλησία μας να κάνουμε. Το σιτάρι συμβολίζει την Ανάσταση. Οπως ο σπόρος φυτεύεται το χώμα, και σαπίζει, και ξεπηδά το καινούργιο βλαστάρι, και γίνεται νέο φυτό. Ετσι, και ο ορθόδοξος χριστιανός όταν ταφεί, απο το νεκρό σώμα, όταν γινει η ανάσταση των νεκρών που προσδοκούμε, θα ξεπηδήσει πάλι ζωή, και θα ξαναζήσει πλέον στην αιωνιότητα.


Η ΜΕΤΑ ΘΑΝΑΤΟΝ ΖΩΗ
Γέροντος Παϊσίου Αγιορείτου

Η προσευχή και τα μνημόσυνα για τους κεκοιμημένους
- Γέροντα, οι υπόδικοι νεκροί μπορούν να προσεύ­χονται;
- Έρχονται σε συναίσθηση και ζητούν βοήθεια, αλλά δεν μπορούν να βοηθήσουν τον εαυτό τους. Όσοι βρί­σκονται στον Άδη μόνον ένα πράγμα θα ήθελαν από τον Χριστό: να ζήσουν πέντε λεπτά, για να μετανοή­σουν. Εμείς που ζούμε, έχουμε περιθώρια μετανοίας, ενώ οι καημένοι οι κεκοιμημένοι δεν μπορούν πια μό­νοι τους να καλυτερεύσουν την θέση τους, αλλά περι­μένουν από μας βοήθεια. Γι' αυτό έχουμε χρέος να τους βοηθούμε με την προσευχή μας.
Μου λέει ο λογισμός ότι μόνον το δέκα τοις εκατό από τους υπόδικους νεκρούς βρίσκονται σε δαιμονική κατάσταση και, εκεί που είναι, βρίζουν τον Θεό, όπως οι δαίμονες. Δεν ζητούν βοήθεια, αλλά και δεν δέχονται βοήθεια. Γιατί, τί να τους κάνη ο Θεός; Σαν ένα παιδί που απομακρύνεται από τον πατέρα του, σπαταλάει όλη την περιουσία του και από πάνω βρίζει τον πατέ­ρα του. Ε, τι να το κάνη αυτό ο πατέρας του; Οι άλλοι όμως υπόδικοι, που έχουν λίγο φιλότιμο, αισθάνονται την ενοχή τους, μετανοούν και υποφέρουν για τις αμαρτίες τους. Ζητούν να βοηθηθούν και βοηθιούνται θετικά με τις προσευχές των πιστών. Τους δίνει δηλα­δή ο Θεός μια ευκαιρία, τώρα που είναι υπόδικοι, να βοηθηθούν μέχρι να γίνη η Δευτέρα Παρουσία. Και όπως σ' αυτήν την ζωή, αν κάποιος είναι φίλος με τον βασιλιά, μπορεί να μεσολαβήση και να βοηθήση έναν υπόδικο, έτσι και αν είναι κανείς «φίλος» με τον Θεό, μπορεί να μεσολαβήση στον Θεό με την προσευχή του και να μεταφέρη τους υπόδικους νεκρούς από την μια «φυλακή» σε άλλη καλύτερη, από το ένα «κρατητήριο» σε ένα άλλο καλύτερο. Η ακόμη μπορεί να τους μετα­φέρη και σε «δωμάτιο» η σε «διαμέρισμα».

Ο Θεός θέλει να βοηθήση τους κεκοιμημένους, γιατί πονάει για την σωτηρία τους, αλλά δεν το κάνει, γιατί έχει αρχοντιά. Δεν θέλει να δώση δικαίωμα στον διά­βολο να πη: «Πως τον σώζεις αυτόν, ενώ δεν κοπίασε;». Όταν όμως εμείς προσευχώμαστε για τους κεκοιμημένους, Του δίνουμε το δικαίωμα να επεμβαίνη. Περισσό­τερο μάλιστα συγκινείται ο Θεός, όταν κάνουμε προ­σευχή για τους κεκοιμημένους παρά για τους ζώντες.
Γι' αυτό και η Εκκλησία μας έχει τα κόλλυβα, τα μνημόσυνα. Τα μνημόσυνα είναι ο καλύτερος δικηγό­ρος για τις ψυχές των κεκοιμημένων. Έχουν την δυνα­τότητα και από την κόλαση να βγάλουν την ψυχή.

- Γέροντα, αυτοί που έχουν πεθάνει πρόσφατα έχουν μεγαλύτερη ανάγκη από προσευχή;
- Εμ, όταν μπαίνη καποιος στην φυλακή, στην αρχή δεν δυσκολεύεται πιο πολύ; Να κάνουμε προσευχή για τους κεκοιμημένους που δεν ευαρέστησαν στον Θεό, για να κάνη κάτι και γι' αυτούς ο Θεός. Ιδίως, όταν ξέρουμε ότι κάποιος ήταν σκληρός -θέλω να πω, ότι φαινόταν σκληρός, γιατί μπορεί να νομίζουμε ότι ήταν σκληρός, αλλά στην πραγματικότητα να μην ήταν- και είχε και αμαρτωλή ζωή, τότε να κάνουμε πολλή προ­σευχή, Θείες Λειτουργίες, Σαρανταλείτουργα για την ψυχή του και να δίνουμε ελεημοσύνη[7] σε φτωχούς για την σωτηρία της ψυχής του, για να ευχηθούν οι φτωχοί «ν' αγιάσουν τα κόκκαλά του», ώστε να καμφθή ο Θεός και να τον ελεήση. Έτσι, ο,τι δεν έκανε εκείνος, το κά­νουμε εμείς γι' αυτόν. Ενώ ένας άνθρωπος που είχε καλωσύνη, ακόμη και αν η ζωή του δεν ήταν καλή, επειδή είχε καλή διάθεση, με λίγη προσευχή πολύ βοηθιέται.
Έχω υπ' όψιν μου γεγονότα που μαρτυρούν πόσο οι κεκοιμημένοι βοηθιούνται με την προσευχή πνευ­ματικών ανθρώπων. Κάποιος ήρθε στο Καλύβι και μου είπε με κλάματα: «Γέροντα, δεν έκανα προσευχή για κάποιον γνωστό μου κεκοιμημένο και μου παρουσιά­σθηκε στον ύπνο μου. «Είκοσι μέρες, μου είπε, έχεις να με βοηθήσης με ξέχασες και υποφέρω». Πράγματι, μου λέει, εδώ και είκοσι μέρες είχα ξεχασθή με διάφορες μέριμνες και ούτε για τον εαυτό μου δεν προσευχό­μουν».
- Όταν, Γέροντα, πεθάνη κάποιος και μας ζητήσουν να προσευχηθούμε γι' αυτόν, είναι καλό να κάνουμε κάθε μέρα ένα κομποσχοίνι μέχρι τα σαράντα;
- Άμα κάνης κομποσχοίνι γι' αυτόν, βάλε και άλλους κεκοιμημένους. Γιατί να πάη μια αμαξοστοιχία στον προορισμό της με έναν μόνον επιβάτη, ενώ χωράει και άλλους; Πόσοι κεκοιμημένοι έχουν άνάγκη οι καημέ­νοι και ζητούν βοήθεια και δεν έχουν κανέναν να προσευχηθή γι' αυτούς!
Μερικοί κάθε τόσο κάνουν μνημόσυνο μόνο για κάποιον δικό τους. Με αυτόν τον τρόπο δεν βοηθιέται ούτε ο δικός τους, γιατί η προσευχή τους δεν είναι τόσο ευάρεστη στον Θεό. Αφού τόσα μνημόσυνα έκαναν γι' αυτόν, ας κάνουν συγχρόνως και για τους ξένους.