giovedì 24 luglio 2014

Piccolo catechismo ortodosso: La Creazione

Continua dal primo post: http://ortodossiapuglia.blogspot.it/2014/07/piccolo-catechismo-ortodosso-la.html


Dalla creazione all'Incarnazione di Cristo: una storia di un folle Amore

1. La creazione



La creazione del mondo e dell'uomo è un traboccamento dell'Amore trinitario. Dalle Sacre Scritture, infatti, apprendiamo che Dio ha creato gli esseri visibili e invisibili affinché essi lo amassero e fossero partecipi della Sua beatitudine.  E' quello che i Padri chiamano: "θείο έρωτα": quella passione d'amore e di misericordia con cui la Trinità ha creato il mondo e lo ama per condurlo verso la sua pienezza.

La Chiesa ci insegna che Dio ha creato per primi gli esseri invisibili, poi il mondo visibile e infine l'uomo. Come scrive san Giovanni Damasceno: "Dio ha creato per primo le spirituali e celesti potenze, poi il mondo visibile e materiale e infine ha creato l'uomo".

Il mondo spirituale



Le potenze celesti sono miriadi di miriadi, esseri spirituali e senza corpo e ricevono la luce dalla Luce prima e senza principio (Dio). Opera degli Angeli è quella di lodare Dio e e di servire la Sua volontà. Per noi uomini sono custodi sempre vigilanti e aiutanti nella nostra lotta spirituale qui sulla terra. Secondo san Dionigi l'Areopagita i nove ordini suddivisi in tre gruppi. Dalla loro posizione intorno al trono di Dio dipende anche la luce e la conoscenza che ricevono da Dio.

1. Primo gruppo: I Serafini, i Cherubini, i Troni. Il primo gruppo è quello più vicino a Dio e quindi il più alto.

2. Secondo gruppo: Signorie, Potenze, Autorità.

3. Terzo gruppo: Principati, Arcangeli, Angeli.

Gli Angeli furono creati risoluti nei confronti del male ma non impassibili. Per questo Lucifero che era un angelo, capo di un ordine angelico dopo che si insuperbì contro Dio, cadde dal cielo come la folgore insieme ai suoi innumerevoli seguaci. Così, si chiamò "Diavolo" (dal greco "diaballo") poiché accusa l'uomo a Dio, Dio all'uomo, e l'uomo al suo prossimo. E' il padre della menzogna e il portatore di ogni male.

Gli Angeli che rimasero fedeli a Dio ricevettero in dono la perfetta impassibilità nei confronti del male. La ricevettero con l'incarnazione di Cristo, poiché "impararono che la via che innalza e che conduce alla somiglianza con Dio non è la superbia ma l'umiltà" (san Gregorio Palamas).





Il mondo visibile

Tutta la creazione annuncia l'amore e la sapienza del Creatore e guida l'uomo alla glorificazione di Dio. Scrive san Giovanni Crisostomo: "Stai bene attento, il cielo parla silenziosamente. Quando ammiri la sua bellezza, la sua maestosità, la sua grandezza, la sua luminosità, glorificherai il Creatore. La creazione intera, dall'eccezionale microcosmo alle lontanissime galassie annunciano l'esistenza di Dio. La stessa esistenza del mondo è un'eterna dossologia di Dio...come dice il salmo: I cieli narrano la gloria di Dio."

L'uomo ammira la bellezza, la grandezza e l'armonia del creato e per analogia comprende Colui che l'ha creato. Tuttavia, quando il peccato ha ottenebrato l'uomo, l'ha guidato sia a divinizzare le creature (idolatria) sia a non credere all'esistenza di Dio (ateismo) e che quindi tutto sia  stato creato per caso. Quest'ultimo (l'ateismo) è l'inganno dell'uomo contemporaneo, il quale utilizza le conquiste della scienza solo per accrescere il proprio egoismo e per allontanarsi sempre più da Dio. L'ateismo è una insensatezza peggiore dell'idolatria.

La creazione annuncia che Dio esiste e chiama l'uomo ad ascendere alle cose invisibili di Dio: la sua sapienza, la sua potenza, la sua bellezza e il suo amore. Così scrive san Basilio: "Se le cose visibili sono così belle, come saranno quelle invisibili?... Se questo sole -destinato alla corruzione- è così bello, così grande....allora che bellezza avrà il Sole di Giustizia, Cristo?"

"Dio ancor prima che creasse l'uomo, l'ha amato, ha mostrato il suo amore per lui: Prima di noi, per noi, ha plasmato gli Angeli per porli come diaconi della nostra salvezza. Prima di noi, per noi, ha eretto la cupola del cielo, ha fondato la terra, ha steso il mare, ha costruito questo mondo visibile come specchio in cui si rispecchia quello superiore, affinché attraverso la sua contemplazione spirituale saliamo alle cose divine" (san Gregorio Palamas)

Questo mondo materiale Dio l'ha creato in "6 lunghi spazi temporali", quelli che nella nostra fede si chiamano "i 6 giorni della creazione" e in geologia "ere geologiche". Alla fine del 6 giorno Dio ha creato l'uomo. Perchè questa sua creatura potesse godere dei beni di entrambi i mondi, Dio ha 
unito nella sua natura sia il mondo materiale (il corpo) che quello spirituale (anima).


L'uomo, icona di Dio



Dunque l'uomo è la creatura più importante di tutta la creazione terrestre. I Santi Padri ci insegnano che Dio ha creato l'uomo affinché fosse partecipe dei beni divini. Scrive san Gregorio di Nissa: "Affinché fosse partecipe dei beni divini, era necessario che (l'uomo) avesse nella sua natura qualcosa in comune con Colui con il quale condivideva questi doni. Per questo è stato ornato con la vita e la parola, con la sapienza e tutti gli altri beni degni di Dio".

In altre e brevi parole, l'uomo è stato creato "a immagine e somiglianza, della Bellezza Archetipa, del Dio Trino".


L'uomo è stato creato per governare sopra tutta la creazione a motivo della somiglianza con il Sovrano di ogni cosa. Questo dimostra la dignità regale dell'uomo. Secondo san Gregorio Palamas quando Dio ha creato il nostro progenitore Adamo a sua immagine e somiglianza, insieme all'anima ha effuso su di lui la grazia del Santo Spirito, la quale lo manteneva in una giovinezza spirituale e custodiva la sua somiglianza con Dio. Con questi doni Dio ha ornato l'uomo affinché fosse guidato senza sforzo verso la fonte di ogni bene (Dio) e vivesse come un angelo sulla terra.


Il Dio Trino è amore e di questo amore è stato ornato anche l'uomo. Poiché dice Gesù: "Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri" (Gv 13, 35). L'amore è in maniera particolare ciò che caratterizza l'uomo come creatura a immagine del suo Creatore. L'uomo è icona, immagine del Dio Trino, dunque è icona dell'Amore. Quando manca l'amore tutti i lineamenti di questa somiglianza si alterano.



La prima comunione tra Dio e l'uomo

Quando Dio ha creato l'uomo, l'ha posto nel paradiso delle delizie, perché lo coltivasse e lo custodisse. L'ordine di coltivare il Paradiso mostra la peculiarità sacerdotale dell'uomo: Da Dio riceveva il mondo come benedizione e a sua volta l'uomo lo offriva a Dio come ringraziamento (Ευχαριστία). L'uomo, sacerdote del mondo, stava dinanzi a Dio e aveva "un compito, angelico, di inneggiare  senza sosta e incessantemente Dio e di godere della contemplazione del Suo volto." (san Giovanni Damasceno). 

La contemplazione della bellezza del Paradiso conduceva l'uomo a ringraziare Dio e, nella contemplazione del volto dell'uomo, tutta la Creazione ringraziava e inneggiava Dio.

Nel Paradiso, l'uomo viveva la presenza del Signore, lo amava oltre ogni limite per avergli donato la vita eterna. L'uomo comunicava con Dio (che gli Angeli, i Cherubini e i Serafini non osavano fissare) come con un amico. 

Gioia e tripudio del primo uomo era la dossologia di Dio e la conversazione con Lui. Il più alto dono che Dio fece all'uomo era di rimanere accanto a Lui e, attraverso l'amore, di unirsi a Lui.

Nel Paradiso l'uomo visse la prima comunione teandrica (divino-umana).


La caduta dell'uomo


Tra tutti i beni divini, Dio ha donato all'uomo la libertà. Il cammino dell'uomo verso Dio doveva essere un'opera di libertà e non di costrizione. Se l'uomo non fosse stato libero, non avrebbe goduto dei beni divini. 

La beatitudine che viveva il progenitore nel Paradiso non era ancora la perfezione alla quale era stabilito che l'uomo arrivasse, poiché era necessaria la sinergia, la collaborazione tra Dio e l'uomo. Dunque, i nostri progenitori erano spiritualmente dei bambini che dovevano crescere nel rapporto, nella comunione e nella conoscenza con Dio sino a giungere alla divinizzazione per grazia.

Secondo san Gregorio il Teologo, l'albero che Dio vietò ai progenitori era l'albero della conoscenza per il quale i nostri progenitori non erano pronti perché non avevano ancora raggiunto questa pienezza e maturità spirituale.

Continua ancora san Gregorio il Teologo: "l'albero della conoscenza sarebbe stato buono se fosse stato gustato al tempo opportuno, poiché l'albero -secondo me- era la visione di Dio, alla quale possono avvicinarsi senza pericolo solo coloro che si sono perfezionati spiritualmente".

Il peccato dei progenitori fu la superbia, il voler divenire dio senza Dio. Al contrario, Cristo con la sua Incarnazione ci ha mostrato che la via che conduce alla somiglianza con Dio è l'umiltà.

L'uomo viveva in comunione con Dio, ma non rimase in essa. Al posto della vita, scelse la morte. Le conseguenze della sua scelta furono dolorose: si trovò subito fuori dal Paradiso, da quella beata vita. Peccò a motivo della sua cattiva preferenza e morì a causa del peccato. Poiché come scrive san Paolo: il salario del peccato è la morte. (Rm 6, 23).



La morte che visse l'uomo dopo la disobbedienza fu spirituale; a quella spirituale, seguì quella fisica "affinché il male non divenisse immortale. Così la punizione di Dio diviene amore per l'uomo. Poiché, così ritengo, punisca Dio". (san Gregorio il Teologo).

L'uomo perde tutti i doni divini: la confidenza presso Dio, la comunione con Lui, la sua abitazione in Paradiso, la vita senza afflizioni.

Tuttavia, nell'ora in cui il mondo viene avvolto dalla tenebra del peccato, in quello stesso momento Dio annuncia la buona notizia del sorgere del Sole, Cristo. La parola del Creatore al serpente-diavolo:"Questo -il discendente di Eva- ti schiaccerà la testa e tu gli colpirai il calcagno" (Gn 3, 15), annuncia la venuta del Salvatore.

Già nella profondissima oscurità del peccato, viene preannunciata la venuta dell'Oriente senza tramonto.

Continua.. 



martedì 22 luglio 2014

Una malattia spirituale: la filaftia (sintomi e cura)

Una malattia spirituale: la filaftia (sintomi e cura)




Cosa è la filaftia?

La filaftia o filautia (dal greco: amore per se stessi), è considerata da molti Padri l'origine di tutti i mali dell'anima, la madre delle passioni e in primo luogo delle passioni generiche dalle quali derivano tutte le altre: gastrimargia (ricerca del piacere di mangiare), filargiria (l'amore per il denaro), cenodossia (vanagloria), lussuria. 

La filaftia sana

Secondo san Massimo il Confessore, vi è una forma di filaftia virtuosa, che appartiene alla natura dell'uomo, raccomandata da Cristo nell'ambito del primo comandamento: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Mt 19, 19; 22,39; Lc 10, 27); consiste nel'amare se stessi come creature ad immagine di Dio e quindi, ad amarsi in Dio e ad amare Dio in sé.

La filaftia passione

La filaftia-passione è una perversione di questa filaftia virtuosa e consiste, al contrario, nell'amore proprio nel senso primo e non edulcorato di questo termine, cioé nell'amore egoista di sé, nell'amore dell'io decaduto, allontanato da Dio e volto verso il mondo sensibile, che conduce, perciò, a una vita carnale e non spirituale.

Per quest'ultimo motivo, la filaftia è generalmente definita come un amore o una passione per il corpo e per le sue inclinazioni passionali (San Massimo il Confessore e san Giovanni Damasceno).

Qui per corpo s'intende non tanto lo stesso composto somatico, così com'è stato creato da Dio all'origine, sottomesso all'anima e spiritualizzato, i cui organi erano orientati verso Dio, quanto piuttosto all'io decaduto al quale l'anima si subordina; attraverso i suoi sensi e le sue membra, il corpo diviene l'organo primario della conoscenza e del godimento del mondo considerato da un punto di vista esclusivamente sensibile, cioè indipendentemente da Dio.

All'origine: corpo----> sottomesso all'anima e spiritualizzato, orientato verso Dio
Dopo la caduta: anima----> sottomessa al corpo, orientata verso la creazione: ad adorare se stessi e quindi la creazione. 

Le cause, da dove nasce e come si sviluppa questa passione?

San Massimo il Confessore individua la causa principale nell'ignoranza di Dio. Tale ignoranza conduce l'uomo alla filaftia e dalla filaftia alle passioni.

Per ignoranza di Dio s'intende la rinuncia volontaria da parte dell'uomo alla propria vocazione, al destino divino, all'unione e alla comunione d'amore con Dio per l'eternità (theosis/divinizzazione), il rifiuto della conoscenza divina.

Creandosi questo grande vuoto interiore, l'uomo lo colma con la conoscenza passionale e sensibile del mondo. Così commenta san Massimo: "abbandonato così liberamente alle sole emozioni dei sensi come le bestie sprovviste d'intelligenza, l'uomo -allontanato dalla bellezza spirituale e divina- trova, attraverso l'esperienza della parte esteriore e corporea della sua natura- una creazione che innalza al posto d Dio"

E continua: "più l'uomo andava verso le cose sensibili, attraverso i suoi soli sensi, più l'ignoranza di Dio lo opprimeva; più egli era soggiogato dall'ignoranza di Dio, più si abbandonava al godimento delle cose materiali conosciute attraverso l'esperienza; più si imbeveva di questo godimento, più eccitava la sua filaftia che ne era la conseguenza; più coltivava la filaftia, più inventava molteplici mezzi per ottenere il piacere, frutto e scopo della della filaftia". Simultaneamente alla ricerca incessante e multiforme del godimento, la filaftia spingeva l'uomo a evitare il dolore che inevitabilmente segue al piacere.

La filaftia è un odio verso se stessi

Anche se può sembrare paradossale, in realtà, la filaftia è un odio verso se stessi. San Teofilatto di Bulgaria scrive: "Filaftico è colui che ama solo se stesso, di conseguenza gli capita di non avere neanche amore per sé". Non solo il filaftico non si ama ma senza saperlo si odia. Egli è, scrive san Massimo, "amante di sé contro se stesso". 

Infatti, negando Dio attraverso l'amore esclusivo di se stesso, nega se stesso nel suo essere essenziale, rinuncia al suo destino divino e si stacca dalla fonte della sua vera vita, compiendo come abbiamo già sottolineato, un suicidio spirituale.

"E' veramente terribile" scrive san Massimo "far morire volontariamente, per amore delle cose corruttibili, la vita che abbiamo ricevuta da Dio attraverso il dono dello Spirito Santo". Così, l'uomo smette di praticare le virtù e apre la porta alle passioni, facendosi il torto più grande, poiché queste introducono in lui altrettante malattie, turbamenti, lacerazioni, sofferenze di ogni genere. 

Vivendo nella filaftia e nel suo corteo di passioni, "gli uomini" afferma san Massimo "onorano la causa stessa dell'annientamento della loro esistenza e perseguono essi stessi, senza saperlo, la causa della loro corruzione....gli uomini come fiere distruggono la loro stessa natura".

La filaftia è un odio verso il prossimo

"Oh la filaftia, universale odiatrice! Odiatrice di Dio ma anche del prossimo!" (Evagrio, san Teodoro di Edessa e san Giovanni Damasceno)

L'amore di Dio e di sé in Dio, implica per l'uomo l'amore del suo prossimo (cf 1Gv 5,1), portatore come lui dell'immagine di Dio, chiamato come lui ad essere figlio di Dio per adozione e dio per grazia. Ogni uomo è per lui un simile e un fratello nel quale ritrova Dio e si ritrova o almeno ritrova un altro membro dello stesso corpo, un'altra parte dell'unica natura umana.

Ignorando Dio per mezzo della filaftia, l'uomo non può più amare veramente il suo prossimo, perché non gli appare più ciò che fonda questo amore: egli non percepisce il legame trascendente che unisce gli uomini tra loro e con se stesso.

Non percependo più nel suo prossimo ciò che costituisce la sua realtà profonda, e cessando di essergli unito spiritualmente, il filaftico si priva di ogni autentica relazione con lui. E' allora che si instaurano tra gli uomini rapporti superficiali in cui regna la non conoscenza reciproca, perfino l'ignoranza reciproca, l'insensibilità degli uni nei confronti degli altri e l'assenza di vera comunicazione. Per il filaftico, gli altri uomini non sono il prossimo, fratelli e figli dello stesso Padre che condividono in Dio la stessa natura, ma estranei (cfr. Col 1, 21) e anche peggio: rivali e nemici.


Dal momento che il filaftico, anziché mirare al vantaggio e al bene altrui, ricerca l'affermazione di se stesso e il proprio interesse, allora, molto spesso il suo prossimo è un semplice mezzo per ottenere i piaceri che vuole raggiungere e così il prossimo viene da lui ridotto al rango di oggetto. Può anche essere per lui un concorrente, un rivale nell'affermazione di se stesso e nella ricerca del piacere; in questo caso egli dirige verso di lui tutta la sua aggressività.

Là dove vi è l'amore di Dio, "Cristo è tutto in tutti" (Col 3,11) "e non c'è più greco o giudeo, circonciso o incirconciso, barbaro o scita, schiavo o libero, né uomo né donna". Là dove regna la filaftia, al contrario, non si che vedono opposizioni, divisioni, rivalità, invidia, gelosia, discordie, inimicizie, litigi, aggressività, tutte manifestazioni che sono i frutti di questa passione, proprio come la non socievolezza, l'ingiustizia, lo sfruttamento di alcuni da parte di altri e anche gli omicidi e le guerre. 

LA CURA

Poiché tale malattia consiste nell'inversione contro natura di una tendenza naturale dell'uomo: l'amore di sé virtuoso, legato indissolubilmente all'amore di Dio e quindi all'amore del prossimo, la cura allora sarà di fare inversione di rotta ritornando alla nostra vocazione, al destino divino, all'unione e alla comunione d'amore con Dio per l'eternità che iniziano già su questa terra. Amando Dio che è Amore, ameremo in maniera corretta non solo il prossimo ma anche noi stessi.

(piccolo sunto dal libro: 

Terapia delle malattie spirituali. Un'introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa Ortodossa

di Jean-Claude Larchet



domenica 20 luglio 2014

Omelia di San Giovanni Crisostomo nella sesta domenica di Matteo.

Il Vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo 9 di Matteo (Matteo 9,1-8), ci racconta la guarigione miracolosa del paralitico da parte del Signore Dio Gesù. Così commenta il santo padre nostro Giovanni Crisostomo: “la nostra venuta in chiesa deve imitare le api che si posano sui migliori fiori per trarre il nettare e allo stesso modo, anche per noi, il venire in chiesa non deve essere occasione di chiacchierio tra di noi ma di studio attento delle Sacre Scritture perché sempre la Divina Scrittura è salvifica e nulla c’è in essa che non costituisca utilità e giovamento per la nostra anima.

Impariamo, dunque, dalle parole del Vangelo odierno quanto male grande è il peccato, nuoce molto all’anima ma è anche la causa principale delle molte malattie corporali. La molla di scatto che fa sì che il miracolo avvenga è la fede certa nella persona del Cristo Teantropo (Dio e Uomo);  il Signore conferma che la fede è quella che toglie il peccato, dicendo al paralitico: Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati. Come vediamo, il Signore non procede subito alla guarigione dalla paralisi ma cura prima ciò che non si vede cioè l’anima, perdonando i peccati e dopo aver perdonato i peccati guarisce il corpo, insegnando così che la maggior parte delle malattie provengono dai peccati e che quindi bisogna prima guarirne la causa. La fonte, la radice e la madre di tutti i mali è il peccato. In questo modo il Signore dimostra di essere Dio e di agire con potenza. 

Dal momento che Dio è buono e vuole che tutti si salvino, molte volte permette che gli uomini cadano in malattie affinché, imprigionate da esse, con il pentimento vengano purificate dai peccati. Il Cristo dunque taglia per prima la radice della malattia corporale, cioè il peccato. Il Signore lo chiama “figlio” e questo perché dove avviene il perdono dei peccati, avviene anche la figliolanza divina. Anche noi, fratelli miei, non possiamo chiamare Dio “padre” se non quando ci purifichiamo dai peccati con la metania e la confessione. 

Un altro segno forte della sua divinità è la conoscenza dei cattivi pensieri e la conoscenza del cuore dell’uomo e questo, come la remissione dei peccati, è solo di Dio “affinché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati” cioè io sono il Dio Logos, Verbo che mi sono fatto uomo per la vostra salvezza e sono venuto sulla terra regalando il perdono dei peccati a quanti credono in me; per questo egli dice “sulla terra” per dimostrare che per quanto sia apparso sulla terra è per natura Dio e per imparare che i peccati si rimettono sulla terra.

Perciò, fratelli miei, per quanto siamo ancora sulla terra ci è data la possibilità di cancellare i nostri peccati, quando invece faremo l’ultimo viaggio (dopo la morte) non avremo più la possibilità di confessare i nostri peccati a Dio e di acquistare la remissione dei peccati perché allora la porta sarà chiusa definitivamente.

Anche noi dunque, fratelli miei, che siamo paralitici e abbiamo le potenze dell’anima atrofizzate abbiamo la possibilità di guarire e di stare in piedi solo se abbiamo la volontà e la buona predisposizione a questo. Perché anche ora si trova il Cristo nella sua città Cafarnao che significa in ebraico” la Casa della Consolazione”. Tale casa è la Chiesa, perché la Casa del Paraclito, del Consolatore è la Chiesa! Anche noi siamo spiritualmente paralitici atrofizzati e irremovibili verso il bene ma se la metania (conversione totale al Vangelo di Cristo, cambiamento di mente e di vita) e la confessione ci fanno risorgere e ci conducono al Signore, allora ascolteremo quella voce dolce e onnipotente che ci dirà: Figlio ti sono rimessi i tuoi peccati. 

Allora diventeremo figli di Dio quando ritorneremo a lui con sincero pentimento, conversione e confessione. Allora, guariremo e prenderemo il nostro lettuccio cioè il corpo e lo indirizzeremo per metterci al lavoro dei comandamenti di Dio.
Cari fratelli, non basta risorgere dal peccato o capire che abbiamo peccato ma bisogna prendere il letto (cioè il corpo) e far sì che questo si metta all’opera del bene e della virtù.



giovedì 17 luglio 2014

Un esempio di sano e vero dialogo: quando i Luterani scrissero al Patriarca

Riportiamo e pubblichiamo dal sito del caro confratello padre Ambrogio: http://www.ortodossiatorino.net/

I Luterani scrivono al Patriarca: come si
arrivò a un passo dall'avere una “Chiesa
ortodossa tedesca”


di Gabe Martini
da Pravoslavie.ru
29 maggio 2013

Un secolo dopo la caduta dell'Impero romano nelle mani degli Ottomani, un diacono greco di nome Demetrio venne in contatto con Filippo Melantone, uno dei più stretti collaboratori di Lutero e teologo sistematico della prima Riforma protestante (ca. 1558).

Come Lutero, Melantone credeva che la loro fede "riformata" - come una "ripulitura" dei numerosi sviluppi e presunti abusi della Chiesa latina nei secoli - sarebbe stata praticamente la stessa fede dei "greci" in Oriente. A tal fine, i maggiori teologi "luterani" del tempo fecero tradurre la loro Confessione di Augusta in greco, e la inviarono con il loro nuovo amico Demetrio al Patriarcato di Costantinopoli (ca. 1559). Melantone morì l'anno successivo, e così i suoi successori nel movimento della riforma furono in grado di continuare nello sforzo.

Quando il patriarca (Ioasaf II) ricevette la lettera, le dottrine in essa contenute furono viste come "imbarazzanti" ed "eretiche" per gli standard ortodossi (Ernst Benz, Wittenberg und Byzanz, pp 73ss), e quindi non fu data alcuna risposta. Si credeva in questo momento della storia che era meglio essere "amichevoli" e non dare alcuna risposta (facendo finta che la lettera non fosse mai stata ricevuta) piuttosto che rispondere con una condanna e senza dubbio rovinare ogni potenziale amicizia con i tedeschi. Demetrio stesso, non avendo risposta da riportare ai luterani, si recò in Transilvania dove alla fine morì. Il primo sforzo di contatto cordiale e di comunione ecclesiastica tra luterani e ortodossi giunse a una brusca fine.

Nel 1570 arrivò a Costantinopoli un ambasciatore tedesco di nome David von Ungnad, accompagnato da un teologo luterano di nome Stephen Gerlach, e strinse amicizia con il segretario capo del nuovo patriarca, Geremia II. Per inciso, Geremia II è considerato uno dei più grandi patriarchi e teologi del patriarcato durante la cattività ottomana, e così i luterani furono piuttosto fortunati ad aver preso contatto con lui. Un tedesco che sapeva il greco, Martin Kraus (alias Crusius) di Tubinga, fu nominato da Gerlach per portare avanti un "dialogo" teologico con Geremia II.

Fu preparata una nuova traduzione greca della Confessione di Augusta e fu inviata al Patriarca. Una copia fu inviata anche al capo della Chiesa ortodossa georgiana, ma non è chiaro se sia mai stata ricevuta (nessuna risposta fu mai fornita). Insieme con la confessione, i luterani includevano una dichiarazione personale di Geremia II. Erano sicuri che le loro credenze erano praticamente un sinonimo di quelle dei greci:

«... A causa della distanza tra i loro paesi c'era qualche differenza nelle loro cerimonie, [ma] il Patriarca riconosceva che essi non avevano introdotto alcuna innovazione nelle cose principali necessarie per la salvezza; ed essi abbracciavano e conservavano, per quanto comprendevano, la fede che era stata insegnata loro dagli apostoli, dai profeti e dai santi Padri, ed che era ispirata dallo Spirito Santo, i Sette concili e le Sacre Scritture. (Stephen Runciman, La Grande Chiesa in cattività)»

La reazione immediata di Geremia II alla confessione non fu del tutto diversa da quella del suo predecessore Ioasaf II, anche se questa volta non poteva essere ignorata, con i tedeschi a Costantinopoli che attendevano con ansia. In collaborazione con il Sinodo di Costantinopoli (tutti i vescovi del patriarcato), il patriarca inviò una risposta il 15 maggio 1576, rispondendo a ognuno dei 21 articoli della confessione in grande dettaglio. Come osserva Runciman: "Geremia ha risposto a ognuno a turno, dichiarando dove era d'accordo o in disaccordo con le dottrine in essi contenute. I suoi commenti sono preziosi, in quanto costituiscono un compendio della teologia ortodossa di quel tempo" (Ibid).

Nel primo articolo, è d'accordo con i luterani sulla loro ricezione del Credo (niceno), ma osserva che la "doppia processione» dello Spirito Santo (il Filioque) è un'aggiunta inaccettabile dei latini. Egli "amplifica" l'interpretazione luterana del Credo con dodici punti relativi alla Trinità, l'Incarnazione, ecc, e inoltre aggiunge un elenco di otto "virtù cardinali", accanto ai "sette peccati capitali."

Nell'articolo sulla "giustificazione per fede", il patriarca cita a lungo san Basilio, sottolineando che "la fede senza le opere è morta", che non si deve "presumere la grazia", negando anche che alcune persone siano predestinate a un'elezione senza condizioni.

Inoltre, parla molto della comprensione luterana dei sacramenti, ma è attento a sottolineare che ci sono "almeno sette" sacramenti accanto al battesimo e alla santa Eucaristia. Geremia è in gran parte d'accordo con gli articoli ottavo e nono, che parlano della "validità dei sacramenti" somministrati da "preti malvagi" e dell'apprezzamento del battesimo dei bambini.

Nel decimo articolo si vede forse l'area più consistente di disaccordo. Geremia condanna la tradizione "latina" di usare pane azzimo per l'Eucaristia, contesta la rimozione luterana dell'epiclesi o della "chiamata" dello Spirito Santo nella Liturgia, e ha sottolineato il "cambiamento" del pane e del vino nello stesso corpo e sangue di Cristo (seguendo le Scritture e le parole di Gesù), ma non secondo la "materia", come sostenevano i latini (respingendo cioè la transustanziazione).

Il Patriarca era in accordo generale con gli articoli da undici a quattordici, facendo ovunque dichiarazioni di blanda correzione e di ammonizione (obiettando, per esempio, a una visione della confessione come strumento "giudiziario", ma vedendola piuttosto come mezzo di "guarigione" spirituale).

Nell'articolo quindici si trova un'altra area di netta differenza. L'ambivalenza luterana verso la celebrazione di varie feste e commemorazioni è offensiva per il patriarca, che cita a lungo padri e scritture, dimostrando che queste feste non solo sono necessarie, ma anche di grande valore spirituale, chiamandole "memoriali duraturi della vita di Cristo sulla terra e della testimonianza dei santi "(ibid).

Gli articoli sedici e diciassette attirano poca polemica, ma il patriarca rileva nell'articolo diciotto (sul "libero arbitrio"), che la comprensione luterana è errata, e che – seguendo Giovanni Crisostomo, accompagnato da una serie di sue parole – solo coloro che sono disposti a "essere salvati" possono esserlo. La salvezza non è un evento "una tantum" nel tempo, ma è un rapporto continuo con Gesù Cristo che dura per sempre.

Geremia concorda con la confessione nell'articolo diciannove che Dio non è la causa del male nel mondo, ma sull'articolo venti (che tratta di nuovo de "la fede e le opere"), Runciman nota:

«Il Patriarca è d'accordo sulla duplice esigenza di fede e di opere; ma perché, si chiede, se i luterani apprezzano veramente le buone opere, censurano feste e digiuni, confraternite e monasteri? Non si tratta di buone azioni fatte in onore di Dio e nell'obbedienza ai suoi comandi? Un digiuno non è un atto di auto-disciplina? Una fraternità monastica non è un'espressione di comunione? Soprattutto, l'assunzione dei voti monastici non è un tentativo di mettere in pratica la richiesta fatta da Cristo, di liberarci dei nostri coinvolgimenti mondani?»

L'ultimo articolo, sull'invocazione dei santi, è condannato da Geremia, che nota dalla Scrittura la convenienza di questa invocazione.

La sua risposta ai luterani è conclusa da una sintesi dei cinque principali "punti": l'uso del pane lievitato nell'Eucaristia, la validità del clero sia sposato sia celibe, l'importanza della Liturgia, la necessità del sacramento della penitenza/confessione per la salvezza, e una difesa dell'istituzione dei monasteri e dell'ideale ascetico. Egli comprendeva anche alcune parole di incoraggiamento paterno:

«E così, eruditi tedeschi, beneamati figli in Cristo della nostra mediocrità, poiché desiderate con saggezza, con grande consiglio e con tutta la mente unirvi a noi in quella che è la santissima Chiesa di Cristo, noi, parlando come i genitori che amano i loro figli, con gioia riceviamo la vostra carità e umanità in seno alla nostra mediocrità, se siete disposti a seguire con noi le tradizioni apostoliche e sinodali e di sottoporvi a loro. Poi, finalmente una casa comune con noi sarà costruita in modo vero e sincero... e così di due Chiese la benevolenza di Dio ne farà per così dire una, e vivremo insieme fino a quando saremo trasferiti alla patria celeste».

La sua risposta raggiunse i teologi della Germania nel 1576, e questi lavorarono diligentemente per rispondere alle obiezioni del patriarca, facendo diversi chiarimenti sui loro punti di vista (soprattutto per quanto riguarda la "giustificazione per fede"), mentre rimanevano fermi sulle proprie convinzioni per quanto riguarda l'esistenza di solo due sacramenti e la scorrettezza di pregare i santi defunti. La loro risposta raggiunse Geremia nel 1578, e la presenza di Gerlach a Costantinopoli gli rese necessario inviare un'altra risposta (data nel maggio del 1579).

In questo seguito del dialogo, Geremia fu meno cordiale di prima, mettendo in chiaro che a meno che i luterani non si fossero staccati dalle loro innovazioni e non avessero accettato pienamente la fede ortodossa-cattolica, non avrebbero potuto continuare nel dialogo o sperare in relazioni ecclesiastiche. Un consiglio di studiosi luterani preparò una risposta a Geremia nell'estate del 1580.

Dopo che Geremia ritornò in carica (per il secondo mandato), alla fine inviò ancora un'altra lettera a Tubinga nel 1581. Risoluto, ripose semplicemente: "Andate per la vostra strada, e non ci inviate ulteriori lettere sulla dottrina, ma solo lettere scritte per amicizia".

I luterani ostinatamente inviarono ulteriori chiarimenti e argomenti al patriarca, ma questi non rispose più. Il dialogo era giunto al termine.


mercoledì 16 luglio 2014

Piccolo catechismo ortodosso: la Santissima Trinità

Con gli articoli 1, 2 e 8 del Credo Niceno-Costantinopolitano:

Articolo 1:Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

Articolo 2: Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create.

Articolo 8: Credo nello Spirito Santo, che e’ Signore e da’ la vita, e procede dal Padre e con il Padre e il Figlio e’ adorato e glorificato: e ha parlato per bocca dei profeti.


i Cristiani Ortodossi confessano e credono che:

  1. Dio è uno secondo natura (Φύση) o essenza (ουσία)  e trino secondo le persone (πρόσωπα)  o ipostasi (υποστάσεις).  Dio è uno e trino.
Approfondiamo:

Noi Cristiani Ortodossi, -così come i Profeti hanno annunciato, gli Apostoli udito e visto, e i Santi Padri ricevuto, custodito e tramandato- confessiamo che il vero Dio è uno nell'essenza ma esiste in tre persone o ipostasi: il Padre, il Figlio e il Santo Spirito pari nell'onore, senza principio, della stessa sostanza.

Va sottolineato che ciascuna delle persone della Trinità è perfettamente e pienamente Dio; in ogni persona risiede interamente l'essenza divina, una e indivisibile. Le tre persone sono unite nell'unica divina essenza (omousion/della stessa sostanza). Come ha scritto Sant'Atanasio di Alessandria noi crediamo in "Μία Θεότητα ἐν Τριάδι" (Una Divinità nella Trinità). Secondo i Padri, il mistero della Trinità, è il Mistero dei misteri. E' molto difficile anzi impossibile comprendere come l'unico Dio esista in 3 persone senza che esistano 3 dei.

Cerchiamo di "comprenderlo" attraverso gli insegnamenti della Chiesa:


Le 3 persone dell'unica divinità sono unite indivisibilmente secondo l'unica essenza o natura ma si distinguono tra di loro (secondo le persone o ipostasi) per il fatto che:

  • Il Padre è ingenerato e fa nascere eternamente il Figlio per generazione e lo Spirito per processione. Questa i Padri (in particolare i Padri Cappadoci) la chiamano "la monarchia del Padre". Tuttavia, essa non va intesa come dominio dell'Ipostasi del Padre sulle altre, dal momento che tutte 3 le Ipostasi sono pari nell'onore. La "monarchia del Padre" è il principio dottrinale dei Santi Padri, al quale hanno essi sempre fatto riferimento per spiegare il mistero della Trinità, presentando il Padre come causa, origine, fonte e principio della vita intra-trinitaria. Per questo motivo, l'innovazione latina del "Filioque" al Credo (non solo il Padre ma anche il Figlio come fonte della divinità e dello  Spirito Santo) è estranea alla dottrina apostolica e patristica e dello stesso Vangelo, dal momento che Cristo ha detto: 

Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre (Gv 15,26)



Questo schema, riassume e illustra molto chiaramente quanto abbiamo espresso sopra.


Per aiutarci a comprendere il mistero della Trinità, san Gregorio Palamas, usa questo paragone: 

"Il bagliore del sole è generato da esso (il sole) e il raggio solare procede da esso (il sole). Arriva sino a noi, e né il bagliore né il raggio si separano dal disco solare. Dunque chiamando sole il bagliore e il raggio, non intendiamo qualche altro sole se non l'unico sole, e allo stesso modo chiamando Dio il Logos di Dio e lo Spirito Santo, non intendiamo altro Dio se non Quello che confessiamo senza principio ed eterno insieme al Logos senza principio e allo Spirito Santo".


Cosa è l'essenza (ουσία) o natura (φύση) ?

L'esistenza una e unica, immateriale, invisibile, senza principio, immutabile, indivisibile, onnipotente, perfetta. Unica vita, attività, volontà. Condivisa e conosciuta solo dai 3.


Cosa è la persona (πρόσωπα)  o ipostasi (υποστάσεις) ?

La particolarità e l'indipendenza che ha ciascuna delle persone della Trinità. Ovvero come abbiamo detto sopra: Il Padre genera il Figlio (per generazione) e lo Spirito Santo (per processione).

Cosa possiamo conoscere di Dio?

Noi Cristiani crediamo che Dio mai ci ha rivelato cosa è secondo l'essenza (condivisa e conosciuta solo dai 3). A questo si riferiva il Signore quando ha detto:

"Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato." (Gv 1. 18)

Anche i Padri ci dicono che non possiamo conoscere l'essenza divina. Scrive san Giovanni Damasceno: "che Dio esiste è chiaro, ma cosa è Dio secondo la sua essenza e natura, questo è del tutto incomprensibile e inconoscibile"

Continua san Basilio:
"Il nostro Dio lo possiamo conoscere attraverso le sue energie, al contrario non possiamo avvicinarci alla Sua essenza, poiché Dio in quanto Spirito infinito non può essere contenuto nella nostra mente circoscritta"

Cosa sono queste energie?

Ce lo spiega molto bene l'igumeno Giorgio del monastero di Grigoriou del Monte Athos (+ 08/06/2014):

"Secondo l'insegnamento della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa, Dio non è solo essenza -come l'Occidente pensa- ma anche energia. Se Dio fosse solo essenza, noi non potremmo unirci a Lui, non potremmo entrare in comunione con Lui, dal momento che l'essenza di Dio è imponente e inaccessibile per l'uomo, come sta scritto: Nessun uomo che vedrà il Mio volto vivrà (Esodo 33: 20).

Proviamo a spiegare meglio questo concetto, prendendo un esempio dal quotidiano. Se noi afferriamo un filo elettrico nudo, moriamo. Ma se noi colleghiamo una lampadina allo stesso filo, siamo illuminati. Noi vediamo, godiamo, siamo sorretti dall'energia della corrente elettrica ma non siamo capaci di afferrare la sua essenza. Possiamo dire che qualcosa di simile avviene con le energie increate di Dio.

Come scrivono san Massimo il Confessore, san Dionigi l'Areopagita e  altri Padri Dio è infiammato di eros divino per le Sue creature. A causa di questo infinito ed estatico amore, Egli esce fuori da se stesso e cerca di unirsi con loro. Questo è espresso e realizzato come  Sue energia, o meglio Sue energie. Tramite esse, Dio ha creato il mondo e continua a preservarlo, illumina l'uomo, lo santifica e lo deifica (il fine dell'uomo è la divinizzazione, il divenire "dio per grazia"). Tramite le divine energie (che sono sempre Dio, senza essere la sua essenza) Dio entra nella natura, nel mondo, nella storia e nella vita umana.

L'Occidente Cristiano non accetta questo poiché non discerne tra essenza ed energie divine; Esso sostiene che Dio è solo essenza e  che l'energie non sono divine e increate ma create. Per questo motivo, non può parlare della divinizzazione dell'uomo: perché, come può qualcosa di creato deificare l'uomo? come può qualcosa fuori di Dio, deificare l'uomo? Dal momento che non possono parlare di divinizzazione, l'unico fine della vita resta quello di diventare moralmente migliori, di compiere buone azioni, di essere migliori di prima. Ma la perfezione morale non è abbastanza per l'uomo...il fine della nostra vita è la nostra finale unione con Dio stesso. Questo è il fine della creazione dell'universo. Questo è quello che desideriamo. Questa è la nostra gioia, la nostra felicità, la nostra realizzazione".

La Trinità nella patristica greca e latina

 immagine tratta dall'articolo: http://traditioliturgica.blogspot.it/2014/05/il-dio-trinita.html


L'altra Trinità

Immagine tratta da: http://traditioliturgica.blogspot.it/2014/05/il-dio-trinita.html

Testimonianze della Trinità nella Sacra Scrittura:

Leggendo la Sacra Scrittura, ci rendiamo conto che nelle azioni dell'unico Dio verso il mondo (nella Divina Rivelazione) partecipano tutte e tre le persone con assoluta concordanza nella unica divina volontà e divino agire.

"Il Padre attraverso il Figlio e con lo Spirito Santo fa ogni cosa" (Sant'Atanasio)

Antico Testamento:
  • E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (Gen 1, 26).
  • Il Signore Dio disse: "Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi".
  • Scendiamo dunque e confondiamo le loro lingue (Genesi 11,7)
  • Nei tre angeli che fecero visita ad Abramo, i Padri riconoscono la Santa Trinità (Gen 18, 1-10). Per questo nella Chiesa Ortodossa, l'icona ufficiale e riconosciuta della Santa Trinità è quella appunto dell'ospitalità di Abramo.
Nuovo Testamento

  • Annunciazione: "Lo Spirito verrà su di te e la Potenza dell'Altissimo ti adombrerà e il bambino che da te nascerà sarà chiamato Figlio di Dio". (Lc 1, 35)
  • Nel Battesimo del Signore abbiamo un'altra manifestazione della Trinità: la voce del Padre che dà testimonianza al Figlio e lo Spirito Santo presente sotto forma di colomba come anche nella Trasfigurazione: il Padre dà testimonianza al Figlio e lo Spirito Santo è presente sotto forma di nube.
  • Ascensione: "E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo» (Matteo  28, 18-19).

Con queste e altre testimonianze l'unico Dio si è rivelato come Trino, a Lui l'onore, la gloria, la potenza e l'adorazione ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin!