sabato 14 maggio 2016

Omelia nella domenica delle mirofore





La terza domenica di Pasqua ritorna a meditare sul mattino di Pasqua, e lo fa da una angolatura particolarissima: come ci ricorda il sinassario oggi si celebra la memoria di Giuseppe di Arimatea, di Nicodemo e, soprattutto, delle donne mirofore. Il termine "mirofora" significa "portatrice di mirra", e con esso ci si riferisce alle donne delle quali i Vangeli testimoniano la presenza sul Golgota e alle quali viene rivolto il primo annuncio della risurrezione. Esse sono testimoni di un avvenimento attestato dai quattro evangelisti: l'apparizione di angeli.

Giuseppe di Arimatea.è degno di essere ricordato perché avvolse in bende il tuo Corpo, o Cristo, e depose te, la salvezza, in un sepolcro nuovo;perché hai accolto Dio tra le braccia, come fece il vecchio Simeone accogliendo Gesù presentato al tempio. Insieme alle mirofore e agli apostoli, onoriamo Giuseppe, il nobile consigliere discepolo, zelante per la pietà,perché ha calato dalla croce il corpo del Signore e con fede lo ha sepolto. È Giuseppe che, dopo averti avvolto in una sindone, o Cristo, ti ha deposto in un sepolcro, e dopo aver cosparso di aromi il tempio distrutto del tuo corpo, ha rotolato una grande pietra all'ingresso della tomba.

Questa stessa pietra era la preoccupazione più grande delle donne che si avvicinavano al sepolcro, cercando anch'esse, come Giuseppe, il regno di Dio. Il loro obiettivo era quello di prestare le ultime e più accurate cure alla salma del Maestro, in un gesto di pietà e venerazione. Ma si sentono dire dall'angelo:O donne, mirofore, perché ormai affrettarvi? Perché portate gli unguenti profumati al vivente? È risorto il Cristo, come aveva detto. Cessino le vostre lacrime e si mutino in gioia. In queste donne siamo chiamati a riconoscere il limite che è in ciascuno di noi: siamo sempre preoccupati di cose
che, prese in se stesse, sono anche giuste, ma che alle volte sono molto lontane dai disegni di Dio. In loro è evidente la non conoscenza di come sarebbe andata a finire, così non dobbiamo stupirci se la misericordia del Signore sceglie di manifestarsi in modo molto diverso da quello che noi pensiamo essere il più giusto e razionale.

Quando le donne si avvicinano alla tomba, il sole sta per sorgere, ma esse non realizzano che il Figlio di Dio è risorto, e che non è nemmeno nella tomba. Esse cercano Gesù, e tentano di fare qualcosa che sembra al di là delle loro possibilità. Ma non possono non compiere questo gesto di amore. Forse la Chiesa, nella sua pedagogia liturgica, vuole farci capire che anche noi dobbiamo cercare Gesù più di ogni altra cosa. Come per le mirofore, anche nella nostra vita ci sono ostacoli, pietre che sembrano inamovibili, situazioni nella quali sembra impossibile trovare Gesù, incontrarlo, essere in comunione con Lui, vivere ciò che Egli ci chiede di vivere. Ma noi dobbiamo guardare a Chi cerchiamo, non agli ostacoli che troviamo sulla via di questa ricerca, nella certezza che l'amore che ci spinge a cercarlo prima o poi riconoscerà la via che ci porta a Cristo. Le mirofore ci possono dire anche che, a volte, Gesù può non essere dove lo stiamo cercando. Esse erano ragionevolmente certe che Gesù fosse lì: era morto in croce e lo avevano deposto in quella tomba. Lo smarrimento che provano di fronte all'angelo è evidente, ma non rimangono attaccate al loro punto di vista, accettano di ritornare sui propri passi assumendosi il compito che Dio assegna loro attraverso l'angelo.

È un compito da affrontare nella letizia, il dolore e il pianto si devono tramutare in gioia, ma l'annuncio evangelico non è privo di difficoltà: gli stessi discepoli fanno molta fatica a credere. Non dobbiamo dimenticarci che noi, prima di incontrare il Risorto, andiamo a cercare il Crocifisso. È vana la nostra speranza di lasciare la croce nel sepolcro vuoto, perché il corpo del Risorto, come abbiamo visto nella domenica di Tommaso, è segnato dalle piaghe dei chiodi e della ferita al costato. Anche se dopo la Pasqua i digiuni e le prostrazioni sono terminate, prove, tentazioni e sacrifici non conoscono il calendario liturgico.

L'ultima cosa che le mirofore ci dicono, recando l'annuncio dell'angelo, è che Gesù ci aspetta in Galilea, dove potremo di nuovo incontrarlo. Anche noi, come i discepoli, abbandoniamo continuamente Gesù e preferiamo poltrire nella sicurezza delle nostre case invece che farci carico della diakonia nell'amore che animava le mirofore, uscite di casa nella notte. La Chiesa, attraverso la voce delle mirofore, ci chiede di metterci di nuovo in cammino, per far rivivere in noi il ricordo e il fervore del nostro primo incontro con Gesù. È questo cammino che tiene vivo il desiderio, che consente alla memoria dell'incontro di non affievolirsi.


D'altra parte abbiamo una traccia da seguire in questo cammino, perché lui "ci precede in Galilea", e questa traccia sono proprio le persone che Dio mette quotidianamente sul nostro stesso cammino: dapprima con gli occhi della fede e dell'amore, e poi anche con gli occhi del corpo, noi raggiungeremo la certezza incrollabile della sua presenza: "Là voi lo vedrete….".