giovedì 17 luglio 2014

Un esempio di sano e vero dialogo: quando i Luterani scrissero al Patriarca

Riportiamo e pubblichiamo dal sito del caro confratello padre Ambrogio: http://www.ortodossiatorino.net/

I Luterani scrivono al Patriarca: come si
arrivò a un passo dall'avere una “Chiesa
ortodossa tedesca”


di Gabe Martini
da Pravoslavie.ru
29 maggio 2013

Un secolo dopo la caduta dell'Impero romano nelle mani degli Ottomani, un diacono greco di nome Demetrio venne in contatto con Filippo Melantone, uno dei più stretti collaboratori di Lutero e teologo sistematico della prima Riforma protestante (ca. 1558).

Come Lutero, Melantone credeva che la loro fede "riformata" - come una "ripulitura" dei numerosi sviluppi e presunti abusi della Chiesa latina nei secoli - sarebbe stata praticamente la stessa fede dei "greci" in Oriente. A tal fine, i maggiori teologi "luterani" del tempo fecero tradurre la loro Confessione di Augusta in greco, e la inviarono con il loro nuovo amico Demetrio al Patriarcato di Costantinopoli (ca. 1559). Melantone morì l'anno successivo, e così i suoi successori nel movimento della riforma furono in grado di continuare nello sforzo.

Quando il patriarca (Ioasaf II) ricevette la lettera, le dottrine in essa contenute furono viste come "imbarazzanti" ed "eretiche" per gli standard ortodossi (Ernst Benz, Wittenberg und Byzanz, pp 73ss), e quindi non fu data alcuna risposta. Si credeva in questo momento della storia che era meglio essere "amichevoli" e non dare alcuna risposta (facendo finta che la lettera non fosse mai stata ricevuta) piuttosto che rispondere con una condanna e senza dubbio rovinare ogni potenziale amicizia con i tedeschi. Demetrio stesso, non avendo risposta da riportare ai luterani, si recò in Transilvania dove alla fine morì. Il primo sforzo di contatto cordiale e di comunione ecclesiastica tra luterani e ortodossi giunse a una brusca fine.

Nel 1570 arrivò a Costantinopoli un ambasciatore tedesco di nome David von Ungnad, accompagnato da un teologo luterano di nome Stephen Gerlach, e strinse amicizia con il segretario capo del nuovo patriarca, Geremia II. Per inciso, Geremia II è considerato uno dei più grandi patriarchi e teologi del patriarcato durante la cattività ottomana, e così i luterani furono piuttosto fortunati ad aver preso contatto con lui. Un tedesco che sapeva il greco, Martin Kraus (alias Crusius) di Tubinga, fu nominato da Gerlach per portare avanti un "dialogo" teologico con Geremia II.

Fu preparata una nuova traduzione greca della Confessione di Augusta e fu inviata al Patriarca. Una copia fu inviata anche al capo della Chiesa ortodossa georgiana, ma non è chiaro se sia mai stata ricevuta (nessuna risposta fu mai fornita). Insieme con la confessione, i luterani includevano una dichiarazione personale di Geremia II. Erano sicuri che le loro credenze erano praticamente un sinonimo di quelle dei greci:

«... A causa della distanza tra i loro paesi c'era qualche differenza nelle loro cerimonie, [ma] il Patriarca riconosceva che essi non avevano introdotto alcuna innovazione nelle cose principali necessarie per la salvezza; ed essi abbracciavano e conservavano, per quanto comprendevano, la fede che era stata insegnata loro dagli apostoli, dai profeti e dai santi Padri, ed che era ispirata dallo Spirito Santo, i Sette concili e le Sacre Scritture. (Stephen Runciman, La Grande Chiesa in cattività)»

La reazione immediata di Geremia II alla confessione non fu del tutto diversa da quella del suo predecessore Ioasaf II, anche se questa volta non poteva essere ignorata, con i tedeschi a Costantinopoli che attendevano con ansia. In collaborazione con il Sinodo di Costantinopoli (tutti i vescovi del patriarcato), il patriarca inviò una risposta il 15 maggio 1576, rispondendo a ognuno dei 21 articoli della confessione in grande dettaglio. Come osserva Runciman: "Geremia ha risposto a ognuno a turno, dichiarando dove era d'accordo o in disaccordo con le dottrine in essi contenute. I suoi commenti sono preziosi, in quanto costituiscono un compendio della teologia ortodossa di quel tempo" (Ibid).

Nel primo articolo, è d'accordo con i luterani sulla loro ricezione del Credo (niceno), ma osserva che la "doppia processione» dello Spirito Santo (il Filioque) è un'aggiunta inaccettabile dei latini. Egli "amplifica" l'interpretazione luterana del Credo con dodici punti relativi alla Trinità, l'Incarnazione, ecc, e inoltre aggiunge un elenco di otto "virtù cardinali", accanto ai "sette peccati capitali."

Nell'articolo sulla "giustificazione per fede", il patriarca cita a lungo san Basilio, sottolineando che "la fede senza le opere è morta", che non si deve "presumere la grazia", negando anche che alcune persone siano predestinate a un'elezione senza condizioni.

Inoltre, parla molto della comprensione luterana dei sacramenti, ma è attento a sottolineare che ci sono "almeno sette" sacramenti accanto al battesimo e alla santa Eucaristia. Geremia è in gran parte d'accordo con gli articoli ottavo e nono, che parlano della "validità dei sacramenti" somministrati da "preti malvagi" e dell'apprezzamento del battesimo dei bambini.

Nel decimo articolo si vede forse l'area più consistente di disaccordo. Geremia condanna la tradizione "latina" di usare pane azzimo per l'Eucaristia, contesta la rimozione luterana dell'epiclesi o della "chiamata" dello Spirito Santo nella Liturgia, e ha sottolineato il "cambiamento" del pane e del vino nello stesso corpo e sangue di Cristo (seguendo le Scritture e le parole di Gesù), ma non secondo la "materia", come sostenevano i latini (respingendo cioè la transustanziazione).

Il Patriarca era in accordo generale con gli articoli da undici a quattordici, facendo ovunque dichiarazioni di blanda correzione e di ammonizione (obiettando, per esempio, a una visione della confessione come strumento "giudiziario", ma vedendola piuttosto come mezzo di "guarigione" spirituale).

Nell'articolo quindici si trova un'altra area di netta differenza. L'ambivalenza luterana verso la celebrazione di varie feste e commemorazioni è offensiva per il patriarca, che cita a lungo padri e scritture, dimostrando che queste feste non solo sono necessarie, ma anche di grande valore spirituale, chiamandole "memoriali duraturi della vita di Cristo sulla terra e della testimonianza dei santi "(ibid).

Gli articoli sedici e diciassette attirano poca polemica, ma il patriarca rileva nell'articolo diciotto (sul "libero arbitrio"), che la comprensione luterana è errata, e che – seguendo Giovanni Crisostomo, accompagnato da una serie di sue parole – solo coloro che sono disposti a "essere salvati" possono esserlo. La salvezza non è un evento "una tantum" nel tempo, ma è un rapporto continuo con Gesù Cristo che dura per sempre.

Geremia concorda con la confessione nell'articolo diciannove che Dio non è la causa del male nel mondo, ma sull'articolo venti (che tratta di nuovo de "la fede e le opere"), Runciman nota:

«Il Patriarca è d'accordo sulla duplice esigenza di fede e di opere; ma perché, si chiede, se i luterani apprezzano veramente le buone opere, censurano feste e digiuni, confraternite e monasteri? Non si tratta di buone azioni fatte in onore di Dio e nell'obbedienza ai suoi comandi? Un digiuno non è un atto di auto-disciplina? Una fraternità monastica non è un'espressione di comunione? Soprattutto, l'assunzione dei voti monastici non è un tentativo di mettere in pratica la richiesta fatta da Cristo, di liberarci dei nostri coinvolgimenti mondani?»

L'ultimo articolo, sull'invocazione dei santi, è condannato da Geremia, che nota dalla Scrittura la convenienza di questa invocazione.

La sua risposta ai luterani è conclusa da una sintesi dei cinque principali "punti": l'uso del pane lievitato nell'Eucaristia, la validità del clero sia sposato sia celibe, l'importanza della Liturgia, la necessità del sacramento della penitenza/confessione per la salvezza, e una difesa dell'istituzione dei monasteri e dell'ideale ascetico. Egli comprendeva anche alcune parole di incoraggiamento paterno:

«E così, eruditi tedeschi, beneamati figli in Cristo della nostra mediocrità, poiché desiderate con saggezza, con grande consiglio e con tutta la mente unirvi a noi in quella che è la santissima Chiesa di Cristo, noi, parlando come i genitori che amano i loro figli, con gioia riceviamo la vostra carità e umanità in seno alla nostra mediocrità, se siete disposti a seguire con noi le tradizioni apostoliche e sinodali e di sottoporvi a loro. Poi, finalmente una casa comune con noi sarà costruita in modo vero e sincero... e così di due Chiese la benevolenza di Dio ne farà per così dire una, e vivremo insieme fino a quando saremo trasferiti alla patria celeste».

La sua risposta raggiunse i teologi della Germania nel 1576, e questi lavorarono diligentemente per rispondere alle obiezioni del patriarca, facendo diversi chiarimenti sui loro punti di vista (soprattutto per quanto riguarda la "giustificazione per fede"), mentre rimanevano fermi sulle proprie convinzioni per quanto riguarda l'esistenza di solo due sacramenti e la scorrettezza di pregare i santi defunti. La loro risposta raggiunse Geremia nel 1578, e la presenza di Gerlach a Costantinopoli gli rese necessario inviare un'altra risposta (data nel maggio del 1579).

In questo seguito del dialogo, Geremia fu meno cordiale di prima, mettendo in chiaro che a meno che i luterani non si fossero staccati dalle loro innovazioni e non avessero accettato pienamente la fede ortodossa-cattolica, non avrebbero potuto continuare nel dialogo o sperare in relazioni ecclesiastiche. Un consiglio di studiosi luterani preparò una risposta a Geremia nell'estate del 1580.

Dopo che Geremia ritornò in carica (per il secondo mandato), alla fine inviò ancora un'altra lettera a Tubinga nel 1581. Risoluto, ripose semplicemente: "Andate per la vostra strada, e non ci inviate ulteriori lettere sulla dottrina, ma solo lettere scritte per amicizia".

I luterani ostinatamente inviarono ulteriori chiarimenti e argomenti al patriarca, ma questi non rispose più. Il dialogo era giunto al termine.