Ci
sono due "disperazioni", per le quali cercherò di dire due
parole.
Una è cattiva, l'altra è buona. Quella cattiva la
conosciamo. E' la nera disperazione della mancanza di fede. Smetto di
credere all'esistenza di Dio. O almeno, smetto di credere che Dio mi
ami e s'interessi di me. “Dio mi ha dimenticato oppure non
esiste!” Questa è la disperazione che viene dalla mancanza di
fede in Dio, la quale, o lentamente o velocemente, porta anche alla
disperazione su me stesso: “Non merito niente, non ho nulla di
buono, non ce la faccio a fare nulla, non sopporto nulla. Per questo
non vale la pena manco lottare. Alla fine non c'è ragione e senso di
vivere.” Vediamo anche la buona disperazione. Si tratta della
disperazione circa l'idea che si ha del proprio io. La disperazione
sulla grande idea che abbiamo di noi stessi, del nostro io egoista.
“Ho smesso di credere che sono onnipotente, sapientissimo. Ho
smesso di credere che sono il dio di me stesso.”
Così facendo
ho i migliori presupposti, se io lo voglio, di mettere le basi per la
più pura speranza nel vero Dio. I Santi hanno disperato in maniera
sana del loro io. Ma cosa significa "disperare in maniera
sana del proprio io"?. Di certo non significa che "mi
butto dalla terrazza" o ricorro ad altri simili gesti
autodistruttivi. Non significa certamente avere una bassa stima o
addirittura disprezzo e sfiducia in se stessi. "Dispero
sanamente di me stesso" significa: Avanzo nella conoscenza di me
stesso. Peso con esattezza e valuto correttamente me stesso. Così
facendo smetto di credere alle sedicenti qualità straordinarie
personali e
-accetto
la mia debolezza umana;
-guardo
negli occhi le mie ferite e le mie passioni
-riconosco
i miei errori e i miei peccati.
Questa
autoconoscenza -frutto della sana disperazione- di sicuro fa
male.
Non lo nascondiamo, fa male e molto. Sicuro alcuni diranno: "Belle
tutte queste cose, ma non sono per noi, ma per i Santi".
Questa ricorrente giustificazione è frutto del voler fuggire il
dolore. Tale desiderio è figlio della cattiva disperazione la quale
ci vuole far arrendere sin dall'inizio. "Non sono né santo,
né lo diventerò". Ma nessuno tra i Santi hai mai avuto il
coraggio di credersi santo. Al contrario, il pensiero del Santi era
ed è, quello che esprime così bene san Silvano dell'Athos: “Tengo
il mio spirito agli inferi ma non dispero. So che, per quante ne ho
combinate, merito la dannazione, tuttavia non perdo la mia speranza
nell'infinita misericordia di Dio. Egli mi salverà.”
Questa
disperazione sana è un comandamento di Cristo, essa si
basa sulle
sue Parole: "Perché chi vorrà salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la
ritroverà." (Mt 16,25). Perdere la propria
vita per Cristo, significa dimenticare il mito di poter essere guida
di se stessi, di essere autonomi, autosufficienti, di essere in grado
di guarire da soli e comprendere invece di aver bisogno di una guida,
dell'aiuto di qualcun'altro, di aver bisogno di qualcuno per guarire
e per salvarsi e questo qualcuno è Cristo. Solamente allora l'uomo
"trova la sua vita". Solamente allora l'uomo vive le parole
del salmo "Il Signore mi pascola e nulla mi manca".
Questa
benedetta disperazione viene lodata dall'abbà Isaac il Siro con
queste parole: "Niente è più potente di questa
disperazione. Nulla può vincere quell'uomo che ha reciso la speranza
in se stesso e negli esseri visibili e l'ha trasferita
in Dio. Poiché, solamente allora l'uomo sentirà
l'amore di Dio in maniera straordinaria, quando si troverà in
difficili condizioni che gli precluderanno la speranza nelle cose
terrene. Infatti, mai l'uomo potrà conoscere la potenza di Dio
quando tutto gli va bene.”.
"Niente
è più potente di questa disperazione. Nulla può vincere
quell'uomo
che ha reciso la speranza in se stesso e negli esseri visibili e l'ha
trasferita in Dio. Poiché, solamente allora l'uomo sentirà l'amore
di Dio in maniera straordinaria, quando si troverà in difficili
condizioni che gli precluderanno la speranza nelle cose terrene.
Infatti, mai l'uomo potrà conoscere la potenza di Dio quando tutto
gli va bene”.
A
questo punto vogliamo chiarire alcuni malintesi:
a)
non è male che tutto ci vada bene.Né tanto meno dobbiamo cercare e
desiderare le prove in maniera masochista. Nella preghiera diciamo
"non ci esporre alla tentazione", riferendoci appunto alle
prove non desiderate. La cosa cattiva è che, quando tutto ci va
bene, facilmente dimentichiamo Dio e in questo modo la nostra fiducia
in noi stessi e nei nostri talenti si sviluppano in maniera malata e
pericolosa.
b)
"Fondo tutta la mia speranza in Cristo" non significa che
incrocio le braccia e aspetto che piovano dal cielo le soluzioni ai
miei problemi. Al contrario, significa che io utilizzo e valorizzo al
massimo i doni e i talenti che Dio mi ha dato (intelligenza,
giudizio, volontà, salute fisica, conoscenze, beni materiali e tante
altre cose) così da collaborare con Dio per la mia salvezza.
"Aiutati che il ciel ti aiuta", dicevano gli Antichi.
Disperazione
salutare dalle cose create significa semplicemente che io non
assolutizzo e non le rendo autonome dal Dio Creatore e Datore di ogni
bene, ma, al contrario, le utilizzo in maniera grata a Dio per la mia
salvezza.
Un
chiaro esempio di questa disperazione salutare è Zaccheo. A Zaccheo
le cose gli andavano proprio bene. Oggi sarebbe stato nella lista dei
miliardari. Però, dentro si sentiva vuoto e avvertiva che aveva
perso la sua vita. Per questo andò in cerca di Qualcuno che lo
aiutasse a ritrovarla. Così per prima cosa ha distrutto la sua
"dignità", il suo profilo sociale e poi si è arrampicato
su un albero per vedere Cristo. E dopo aver iniziato a credere alle
parole: "Il Signore mi pascola e nulla mi manca", si
autoassegnò forse la più dura tassazione della storia dell'economia
umana. "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai
poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".
Considerato che come capo dei pubblicani aveva bevuto il sangue di
molti uomini, è molto certo che dopo questa autotassazione, Zaccheo
sarà stato costretto più di qualche volta a cercare cibo nella
spazzatura.
Sicuramente
vi starete chiedendo: come è possibile che Cristo ha lasciato
affamato il convertito Zaccheo? Come è possibile se "il Signore
è il mio pastore e io non manco di nulla?".
Si,
ma questo non significa che Cristo è venuto nel mondo per
risolvere,
una volta per sempre, il problema della fame. Il "nulla mi
manca" non combacia per niente con il "vangelo della
prosperità", che annunciano gli americani televangelizzatori
protestanti, presentando nei loro programmi quante ville e limousine
Cristo ha donato ai neo rinati Cristiani. Questo è contrario alla
logica dell'Ortodossia, cioè del Vangelo.
Nel
libro del Gerontikon esistono santi asceti che sono morti di fame
dopo aver perso la strada nel deserto. Esistono martiri che sono
stati condannati a morte per fame. Esistono molti uomini fedeli che
sono morti di fame in prigione. E certamente oggi esistono molti
nostri fratelli che non hanno perso la loro fiducia e la loro
speranza in Dio nonostante vengano meno per la fame o muoiano per
mancanza di soldi per le medicine.
Certamente
non siamo venuti qui per raccontare favole. Gli attuali tempi non
sopportano finte consolazioni. Cerchiamo, invece, di parlare la
lingua della verità, la quale a volte può sembrare dura. La stessa
lingua ha parlato quell'uomo dolcissimo e pieno di discernimento, san
Kosmas d'Etolia, e non in un'epoca di debiti ma di occupazione turca.
"Cosa
sopportiamo, fratelli miei? E' triste dirvelo. O oggi o domani
sopporteremo grande fame e grande sete. Daremo migliaia di soldi ma
non troveremo né pane né acqua. Tuttavia io vi dico: Che prendano
pure le vostre cose. Non vi importi. Datele. Non sono vostre. Che
brucino pure il vostro corpo, che lo friggano. Quelle cose che
nessuno vi potrà mai prendere, a meno che voi non le consegniate,
sono due: l'anima e Cristo. Queste due dovete
tenere strette perché non accada che le perdiate”.
San
Kosmas con realismo incoraggia i poveri e tribolati sudditi cristiani
dell'impero Turco, chiamando le cose con il loro nome: "Si, è
vero, le prospettive sono tremende. Ma nello stesso tempo, sono e
saranno, se voi lo volete, piene di speranza. Dunque la vera vostra
ricchezza non è messa in pericolo da niente e da nessuno. Se voi lo
volete, sarete permanentemente ricchissimi e sarete per sempre
ripieni di Vita Vera. Poiché la vostra ricchezza, che nessuno può
togliervi, e la vostra vera vita, che nessuno può prendervi, sono
l'anima e Cristo. Queste due cose nemmeno la morte può rubarvele. A
meno che voi non le consegniate facendo cattivo uso della vostra
libertà".
Questa
nostra riflessione si può collegare anche con il Vangelo della nona
domenica di Matteo (14:22-34). Anche noi spesso dubitiamo come
Pietro, non possedendo quella fede incrollabile sulla parola di Gesù.
Specialmente nei momenti in cui la vita va contro i nostri desideri e
le nostre volontà, quando si presentano disavventure, problemi,
dolori e sofferenze, quando sperimentiamo la Croce. Allora anche noi
rischiamo di affondare perché non abbiamo fede, non gridiamo con la
preghiera, non ci umiliamo ad accettare fiduciosamente la volontà di
Dio senza borbottare ma al contrario ci lamentiamo e addirittura ce
la prendiamo con Dio. Perché succede questo? Perché non abbiamo la
mentalità del Vangelo che non combacia con la ragione (Pietro inizia
ad affondare quando si domanda come è possibile camminare sulle
acque) né con la logica del mondo. Per questo abbiamo bisogno di
metania, solamente di metania, che in greco non significa
semplicemente conversione ma cambiamento, ribaltamento di mentalità.
Chiediamo questa a Dio nella preghiera, nella lotta quotidiana, ed
Egli, vedendo il nostro impegno, ci aiuterà. Amin.