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Da padre Seraphim Valeriani Ropa
Venerabili Padri e Fratelli,
Non è che tremando, ma con la coscienza libera e tranquilla davanti a Dio che vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di voi, in questa augusta assemblea.
Da che seggo qui con voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son fatti in quest'aula, sperando con vivo desiderio che un raggio di luce, scendendo dall'alto, illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi permettesse votare i canoni di questo santo concilio ecumenico, con perfetta cognizione di causa.
Penetrato della parte di responsabilità, di cui Dio mi chiederà conto, mi sono dato a studiare con la più seria attenzione gli scritti dell'antico e Nuovo Testamento, ed ho domandato a questi venerabili monumenti della verità, di farmi conoscere se il santo Pontefice che ci presiede è veramente il successore di S. Pietro, Vicario di G. C. e dottore infallibile della Chiesa.
Per risolvere questa grave questione, ho dovuto far tavola rasa dello stato attuale delle cose, e trasportarmi con la mente, con in mano la fiaccola evangelica, nel tempo in cui non si conosceva né ultramontanismo né gallicismo, e in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la divina autorità, senza mettere in dubbio quello che c'insegna la SANTA BIBBIA, che è qui davanti a me, e che il Concilio di Trento ha proclamata regola della fede e dei costumi.
Ho dunque aperte queste sacre pagine ... Ebbene! ardirò dirlo? io nulla vi ho trovato che legittimi né da vicino né da lontano l'opinione degli oltramontani. Di più, con mia gran meraviglia, non si fa questione, nei giorni apostolici, né di un papa, successore di san Pietro e vicario di G. Cristo, come di Maometto, che ancora non esisteva.
Voi, Monsignor Manning, direte che io bestemmio; voi Monsignor Pie, che son fuori di senno; no, io non bestemmio, non son fuori di senno, Monsignori; ora, a meno che non abbia letto tutto intero il Nuovo Testamento, dichiaro davanti a Dio, la mano alzata verso questo gran crocifisso, che non vi ho trovata traccia alcuna del papato, come esiste attualmente.
Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra attenzione, e con i vostri mormorii e interruzioni non giustificate coloro che dicono, come il padre Giacinto, che questo Concilio non è libero, e che i nostri voti ci sono stati in precedenza imposti. Dopo ciò, questa augusta assemblea, sulla quale son rivolti gli occhi del mondo intero, cadrebbe nel più vergognoso disprezzo. Se vogliamo farla grande, siamo liberi.
Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno d'approvazione che fa con la testa; ciò mi dà coraggio e continuo.
Leggendo dunque con quella attenzione, di cui il Signore mi ha fatto capace, i sacri libri, non vi ho trovato un sol capitolo, un sol versetto, nel quale G. Cristo commetta a S. Pietro di ammaestrare gli apostoli, suoi compagni d'opera.
Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo esser oggi S. S. Pio IX, fa meraviglia come non abbia detto loro: Quando sarò salito presso mio Padre, voi tutti obbedirete a Simon Pietro, come obbedite a me; io lo stabilisco mio vicario sulla terra.
Nè solamente Cristo su questo punto, ma ancora pensa sì poco a dare un capo alla Chiesa, che quando promette dei troni a' suoi apostoli, per giudicare le dodici tribù di Israele, (Matt. XIX 28) glie ne promette dodici, uno per ciascuno, senza dire che fra questi troni, ve ne sarà uno più alto degli altri, che spetterà a Pietro. Certamente, se avesse voluto che fosse così, lo avrebbe detto: che cosa concludere dal suo silenzio? La logica lo dice: che Cristo non ha voluto fare di S. Pietro il capo del collegio apostolico.
Quando Cristo manda gli apostoli alla conquista del mondo, a tutti ugualmente dà il potere di sciogliere e legare: a tutti fa la promessa dello Spirito Santo. Permettetemi che lo ripeta: se avesse voluto costituire Pietro suo vicario, gli avrebbe dato il comando in capo della sua milizia spirituale.
Cristo, lo dice la S. Scrittura, proibisce a Pietro ed ai suoi colleghi di regnare, signoreggiare e aver potestà sui fedeli, siccome usano i re delle genti (Luca XXII 25). Se S. Pietro fosse stato eletto papa, Gesù non avrebbe parlato così, imperocchè, secondo le nostre tradizioni, il papato tiene nelle sue mani due spade, simbolo del potere spirituale e temporale.
Un fatto mi ha vivamente meravigliato: constatandolo, diceva a me stesso: Se Pietro fosse stato eletto papa, i suoi colleghi si sarebbero permessi di mandarlo con S. Giovanni in Samaria, per annunziarvi l'Evangelo del figlio di Dio? (Atti VIII, 14).
Che pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo deputare S. S. Pio IX e S. E. Monsignor Plantier a recarsi dal patriarca di Costantinopoli, per impegnarlo a far cessare lo scisma orientale?
Ma ecco un altro fatto più importante. Un concilio ecumenico è riunito a Gerusalemme, per decidere sulle questioni che dividono i fedeli. Chi avrebbe convocato quel concilio, se S. Pietro fosse stato papa? S. Pietro: chi lo avrebbe presieduto? S. Pietro o i suoi legati; chi ne avrebbe formulati e promulgati i canoni? S. Pietro: Ebbene! Nulla di tutto questo avviene. L'apostolo assiste al concilio, come tutti gli altri suoi colleghi: non è lui che ne prende le conclusioni, ma S. Giacomo, e quando se ne promulgano i decreti, è a nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli. (Atti XV.)
È così che facciamo noi nella nostra chiesa? Più che mi addentro, o venerabili fratelli, nel mio esame, più mi convinco che nella Santa Scrittura non apparisce primato nel figliuolo di Giona: ora, mentre che noi insegniamo che la Chiesa è fabbricata sopra S. Pietro, S. Paolo, la cui autorità non può esser messa in dubbio, ci dice nella sua lettera agli Efesi (II, 20) essere edificata sopra il fondamento degli apostoli e de' profeti, essendo G. C. stesso la pietra del capo del cantone.
E il medesimo apostolo crede così poco alla supremazia di san Pietro, che biasima apertamente quelli che dicono: Noi siamo di Paolo, noi siamo d'Apollo, (Corinti I, 12) come quelli che direbbero: noi siamo di Pietro. Se dunque quest'ultimo apostolo fosse stato vicario di G. Cristo, S. Paolo si sarebbe guardato bene di censurare così violentemente quelli che si attenevano al suo collega.
Lo stesso apostolo Paolo, enumerando le cariche della Chiesa, rammenta gli Apostoli, i Profeti, gli Evangelisti, i Dottori, i Pastori.
È egli credibile, venerabili fratelli, che S. Paolo, il gran dottore delle genti, avesse dimenticata la prima delle cariche, il papato, se il papato fosse stato d'istituzione divina? Questa dimenticanza non mi è sembrata possibile, come sarebbe quella di uno storico di questo concilio, che non dicesse una parola di S. Santità Pio Nono. (Alcune voci: Silenzio, eretico, silenzio!)
Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora detto tutto; impedendomi di continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di aver chiusa la bocca al più piccolo membro di quest'assemblea. Continuo.
L'apostolo Paolo, in alcuna delle sue lettere dirette alle varie chiese, non fa menzione del primato di Pietro. Se questo primato fosse esistito, se in una parola, la Chiesa avesse avuto nel suo seno un capo supremo, infallibile nello insegnare il gran dottore delle genti avrebb'egli dimenticato di tenerne parola? Che dico io? Avrebbe scritta una lunga lettera su questo importante e capitale subietto. Allora quando, com'egli ha fatto, si erige l'edificio della dogmatica cristiana, può dimenticarsi il fondamento, la chiave della volta? Ora, a meno che non si ritenga per eretica la chiesa apostolica, ciò che noi non vorremo né oseremo dire, siamo costretti a convenire che la Chiesa non è mai stata nè più bella, nè più pura, nè più santa, come nei giorni, nei quali non aveva il papa. (Voci: Non è vero. Non è vero.)
Monsignore de Laval non dica no, poiché se alcuno di voi, venerabili fratelli, ardisse pensare che la Chiesa che ha oggi un papa per capo, è più ferma nella fede, più pura nei costumi della Chiesa Apostolica, lo dica apertamente in faccia all'Universo, imperocchè questo è il centro, da cui le nostre parole volano da un polo all'altro. Proseguo.
Non negli scritti di S. Paolo, nè in quelli di S. Giovanni, o di S. Giacomo, ho trovato traccia o germe del potere papale. S. Luca, lo storico dei lavori missionari degli apostoli, tace su questo punto capitale.
Il silenzio di questi santi uomini, i cui scritti fan parte del canone delle Scritture divinamente ispirate, mi è parso aggravante, e impossibile, se Pietro fosse stato papa, come non sarebbe giustificabile quello di Thiers se omettesse nella storia di Napoleone Bonaparte il titolo d’imperatore.
Sento là, davanti a me, un membro dell'assemblea che dice, mostrandomi a dito: È un vescovo scismatico, introdottosi fra noi sotto falso nome.
No, no, venerabili fratelli, io non sono entrato in questa augusta assemblea, come un ladro per la finestra; ma sibbene dalla porta come voi: il mio titolo di vescovo me ne dava il diritto, come la mi coscienza di cristiano m'impone parlare e dire quello che credo esser vero.
Ciò che mi ha maggiormente stupito, e più di quello che potrei dimostrare, è il silenzio di S. Pietro. Se l'apostolo fosse stato quello che noi proclamiamo essere, cioè il vicario di G. Cristo sulla terra, egli avrebbe dovuto saperlo: se lo ha saputo, come mai neppure una volta, una volta sola non ha fatto da papa? Avrebbe potuto farlo il giorno della Pentecoste, quando pronunziò il suo primo discorso, e non lo fece: al concilio di Gerusalemme, e non lo fece: ad Antiochia, e non lo fece: nelle due lettere dirette alla chiesa, e non lo fece: immaginate voi un tal papa, venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa?
Se dunque vuolsi sostenere che egli è stato papa, ne nasce la naturale conseguenza che bisogna del pari sostenere che non ha saputo di esserlo; ora io domando a chiunque ha testa che pensa e mente per riflettere, sono possibili queste due supposizioni?
Riassumendo, dico: Mentre vivevano gli apostoli, la Chiesa non ha mai pensato che potesse esservi un papa: per sostenere il contrario, bisognerebbe dare alle fiamme gli scritti sacri, o ignorarli affatto.
Sento da tutte le parti dire: ma S. Pietro non è stato a Roma? Non vi è stato crocifisso col capo all'ingiù? La sedia sulla quale insegnava e l'altare su cui diceva la messa, non sono in questa città eterna?
La dimora di S. Pietro a Roma, venerabili fratelli, non ha altra prova che la tradizione: ma se egli fosse stato vescovo di Roma, che forse dal suo vescovato in questa città, potrà trarsi e concludere per la sua supremazia? Un dotto di primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato dire, che il vescovato e la dimora di S. Pietro a Roma debbono essere posti fra le ridicole leggende. (Grida ripetute: Toglietegli la parola, toglietegli la parola! Discenda dall'ambone!)
Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma non è egli più conveniente in un assemblea, quale è la nostra, esaminar tutto, siccome lo comanda l'apostolo e credere ciò ch'è buono? Ma, venerabili, noi abbiamo un dittatore, davanti al quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere, anche Sua Santità Pio IX e abbassare la testa. Questo dittatore è la storia.
Essa non è come la leggenda, di cui si è fatto quello, che il vasellaio fa dell'argilla: è il diamante che incide sul vetro parole incancellabili. Finora non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho trovato traccia del papato nei giorni apostolici, mia non è la colpa, ma sua. Volete mettermi in stato di accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.
Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Matt. XVI.
Fra poco, venerabili fratelli, risponderò a questo obietto: ma prima di farlo, debbo presentarvi il resultamento delle mie ricerche storiche.
Non trovando traccia del papato nei giorni apostolici, ho detto fra me: Troverai quello che cerchi negli annali della Chiesa. Ebbene! lo dirò francamente: ho cercato un papa nei primi quattro secoli e non l'ho trovato.
Nessuno di voi, spero, vorrà contestare la grande autorità del santo vescovo d'Ippona, il grande e beato s. Agostino. Questo pio dottore, onore e gloria della Chiesa cattolica, era segretario nel concilio Melivetano. Nei decreti di quella venerabile assemblea si leggono queste significanti parole: Chiunque vorrà appellare AL DI LA' DEL MARE, non sia ricevuto da alcuno, in Affrica, alla comunione.
I vescovi d'Affrica riconoscevano sì poco la supremazia del vescovo di Roma, che colpivano di scomunica coloro che a lui ricorressero in appello.
Questi medesimi vescovi, nel sesto concilio di Cartagine, tenuto sotto Aurelio, vescovo di quella città scrissero a Celestino vescovo di Roma, avvertendolo che non ricevesse appelli dei vescovi, preti e chierici d'Affrica: che non mandasse più legati, nè commissari, e che non introducesse l'orgoglio umano nella Chiesa.
Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai primi tempi a trarre a sè tutta l'autorità, è un fatto evidente: ma è fatto del pari indubitato che egli non aveva la supremazia, che gli oltramontani gli attribuiscono: se l'avesse avuta, i vescovi d'Affrica, S. Agostino il primo, avrebbero ardito proibire di appellare dai loro decreti al suo tribunale supremo?
Confesso senza difficoltà che il partriarcato di Roma teneva il primo posto: una legge di Giustiniano dice "Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro concilii, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l'altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il secondo."
Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi direte.
Non siate si corrivi a questa conclusione, venerabili fratelli, imperciocchè la legge di Giustiniano ha scritto in fronte "dell'ordine delle sedute dei pariarchi" Altra cosa dunque è la precedenza, altra il potere di giurisdizione: così, per esempio, supponiamo che in Firenze fosse una riunione di tutti i vescovi del regno: la precedenza sarebbe data al primate di Firenze, come presso gli orientali è accordata al Patriarca di Costantinopoli, e in Inghilterra all'arcivescovo di Cantorbery. Ma nè il primo, nè il secondo, nè il terzo potrebbero dedurre dal posto che sarebbe loro assegnato, una giurisdizione sui loro colleghi.
La importanza dei vescovi di Roma proveniva, non da un potere divino, ma dalla considerazione della città, in cui avevano la loro sede. Monsignor Darboy non è superiore in dignità all'arcivescovo di Avignone: non per tanto, Parigi gli dà una considerazione che non avrebbe, se in vece di avere il suo palazzo sulle rive della Senna, lo avesse su quelle del Rodano. Quel che è vero nell'ordine religioso, lo è pure nel civile e politico: il prefetto di Firenze non è più prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e politicamente ha una maggiore importanza.
Ho detto che il patriarca di Roma aspirò fino dai primi secoli al governo universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse in appresso: ma certamente non lo aveva allora poichè, non ostante le sue pretese, l'imperatore Teodosio II. fece una legge con la quale stabilì che il patriarca di Costantinopoli aveva la medesima autorità , che quello di Roma. Leg. Cod. de Scr. ecc.
I padri del concilio di Calcedonia posero il vescovo della antica e nuova Roma al medesimo ordine in tutte le cose, anche nelle ecclesiastiche. Can. 28.
Il sesto concilio di Cartagine proibì ai vescovi tutti di prendere il titolo di principe dei vescovi, o di vescovo sovrano.
Quanto al titolo di vescovo universale, che i papi presero più tardi, S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne sarebbero mai fregiati, scrisse queste notevoli parole: "Nessuno de’ miei predecessori ha consentito di prendere questo nome profano, imperocchè quando un patriarca si dà il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre di discredito. Lungi dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo discredita fra i suoi fratelli!"
Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo collega di Costantinopoli, che pretendeva al primato nella chiesa. Il papa Pelagio II chiama Giovanni, vescovo di Costantinopoli, che aspirava al pontificato massimo, empio, e profano "Non vi curate, egli dice del titolo di universale, che Giovanni usurpò illegalmente: che nessuno dei patriarchi prenda questo nome profano: imperocchè, quale sventura non dovremo aspettarci, se fra i preti sorgono tali elementi? Si avvererebbe quello che è stato predetto. – È il re dei figli dell’orgoglio. (Pelagio II. lett. 13)"
Queste autorità, e ne avrei cento altre di ugual valore, non provano esse, con chiarezza pari allo splendore del sole a mezzogiorno, che i primi vescovi di Roma non sono stati che molto tardi riconosciuti per vescovi universali e capi della chiesa?
E d’altra parte, chi non sa come dall’anno 225, in cui si tenne il primo concilio di Nicea, fino al 580 in cui si tenne il secondo ecumenico di Costantinopoli, sopra 1109 vescovi che assisterono ai sei primi concilii generali, non vi furono presenti che 19 vescovi occidentali?
Chi non sa che i concili erano convocati dagli imperatori, senza prevenire, e qualche volta contro la volontà del vescovo di Roma? Che Osio vescovo di Cordova, presiedè il primo concilio di Nicea e ne redigè i canoni? Lo stesso Osio presiedè di poi il concilio di Sardica, escludendone i legati di Giulio vescovo di Roma: non insisto di più, venerabili fratelli, e vengo a parlare del grande argomento, che ponete innanzi, per istabilire il primato del vescovo di Roma.
Per la pietra, sulla quale la Santa Chiesa è fabbricata, voi intendete Pietro. Se fosse vero, la disputa sarebbe terminata: ma i nostri antenati, e certamente sapevano qualche cosa, non la pensavano come noi.
S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinità, dice "Io credo che per la pietra, bisogna intendere la incrollabile fede dell’apostolo". S. Ilario, vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro sulla Trinità dice "La pietra (petra), è la beata ed unica pietra della fede confessata per bocca di S. Pietro: ed è, dice nel sesto libro della Trinità, su questa pietra della confessione, che la chiesa è edificata. "Dio, dice S. Girolamo, nel 6° libro di S. Matteo, ha fondato la sua chiesa su questa pietra ed è su questa pietra che l’apostolo Pietro è stato nominato." Dopo lui, S. Grisostomo dice, nella sua 53 omelia sopra S. Matteo". Su questa pietra edificherò la mia chiesa, cioè sulla fede della confessione: or qual era la confessione dell’apostolo? Eccola "Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel secondo capitolo agli Efesi, S. Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di Calcedonia insegnano esattamente la medesima cosa.
Di tutti i dottori della antichità cristiana, S. Agostino è quello, che occupa uno dei primi posti nella Chiesa, per la scienza e santità. Ascoltate dunque ciò ch’egli scrive nel suo secondo trattato sulla prima lettera di S. Giovanni. "Che cosa vogliono dire le parole. "Io edificherò la mia chiesa su questa pietra? Su questa fede, su quello che è detto. Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Nel suo 124° trattato sopra S. Giovanni, troviamo questa significantissima frase "Sopra questa pietra che tu hai confessato, io edificherò la mia chiesa, imperocchè Cristo era la pietra."
Il gran vescovo credeva tanto poco che la chiesa fosse fabbricata su S. Pietro, che diceva a’ suoi fedeli nel suo 13 sermone. "Tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessato, su questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo – Tu sei Cristo, il figlio di Dio vivente – io edificherò la mia chiesa sopra me stesso, che sono il figlio di Dio vivente: io la edificherò su ME, E NON ME SU TE."
Quello che S. Agostino pensava sopra questo celebre passo, era la opinione di tutta la cristianità del suo tempo. Dunque riassumendo, stabilisco:
1° Che Gesù ha dato agli apostoli il medesimo potere che a san Pietro;
2° Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto in S. Pietro il vicario di Gesù Cristo e il dottore infallibile della chiesa;
3° Che S. Pietro non ha mai pensato di essere papa, e non ha mai fatto da papa;
4° Che i concilii dei quattro primi secoli, mentre riconoscevano l’alto posto, che il vescovo di Roma occupava nella Chiesa, appunto per cagione di Roma, non gli hanno accordato che una preminenza d’onore, mai un potere, nè una giurisdizione;
5° Che i SS. Padri nel famoso passo "Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa" non hanno mai inteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro (super Petrum), ma sulla pietra (super petram), cioè sulla confessione della fede dell’apostolo.
Concluderò vittoriosamente con la storia, con la ragione, con la logica, col buon senso e con la coscienza cristiana, che Gesù Cristo non ha conferito alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di Roma non son divenuti sovrani della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad uno tutti i diritti dell’episcopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante, taccia!)
Io sono uno sfacciato protestante!… Nò, mille volte no!
La storia non è nè cattolica, nè anglicana, nè calvinista, nè luterana, nè armena, nè greca scismatica, nè oltramontana: ella è quello che è, cioè qualche cosa di più forte di tutte le confessioni di fede dei canoni dei concilii ecumenici.
Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite: ma voi non potete distruggerla, come un mattone tolto dal Colosseo non lo farebbe cadere. Se ho detto qualche cosa che la storia dimostri in contrario, mi si faccia conoscere con la storia, e senza esitare un momento, farò onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete che non ho detto tutto ciò che io voleva e doveva: quando anche il rogo mi attendesse sulla piazza di S. Pietro, io non debbo tacere e mi è obbligo continuare.
Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri Osservazioni su questo concilio del Vaticano, ha detto e con ragione, che se noi dichiariamo Pio IX infallibile, siamo per necessaria e naturale logica obbligati a ritenere infallibili tutti i suoi antecessori. Or bene! Venerabili fratelli, ecco la storia che alza la sua voce autorevole, per assicurarvi che alcuni papi hanno errato: avete un bel protestare, un negare, io vi dirò con quella:
Papa Vittore (192) approvò il montanismo, poi lo condannò.
Marcellino(296, 303) fu idolatra, entrò nel tempio di Vesta e offrì incensi alla dea. Voi direte fu un atto di debolezza: ma io risponderò: un Vicario di Gesù Cristo muore ma non diviene apostata.
Liberio (358) consentì alla condanna di Anatasio e fece professione di Arianismo, per esser richiamato dall’esilio e reintegrato nel suo seggio.
Onorio (625) aderì al monotelismo: il padre Gratry lo ha alla evidenza dimostrato.
Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui, che prende il nome di Vescovo universale, e al contrario Bonifazio III. (607-8) si fa conferire questo titolo dal parricida imperatore Foca.
Pasquale II. (1088-1099) ed Eugenio III. (1145 - 1153) autorizzano il duello: Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo proibiscono.
Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di Basilea e la restituzione del calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658) revoca la concessione.
Adriano II. (867-872) dichiara valido il matrimonio civile, Pio VII. (1800-23) lo condanna. Sisto V. (1585-1590) pubblica un edizione della Bibbia e ne raccomanda la lettura con una Bolla: Pio VII ne condanna la lettura.
Clemente XIV (1700-21) abolisce l’Ordine dei Gesuiti, permesso da Paolo III: Pio VII. lo ristabilisce.
Ma perché cercare delle prove così remote? Il nostro santo padre Pio IX, qui presente, nella sua bolla che dà le norme per il concilio, nel caso in cui egli morisse, mentre è aperto, non ha revocato tutto quello che in passato gli sarebbe contrario anche quando provenisse da decisioni de’ suoi predecessori? E certamente se Pio IX ha parlato ex cattedra, non è quando dal fondo del suo sepolcro impone le sue volontà ai sovrani della Chiesa.
Non terminerei più, Venerabili fratelli, se ponessi davanti ai vostri occhi le contraddizioni dei papi nei loro insegnamenti. Se voi dunque proclamate la infallibilità del papa attuale, bisognerà forzatamente, o che voi proviate ciò che è impossibile, che i papi non si sono contraddetti oppure che dichiariate che lo Spirito Santo vi ha rivelato che la infallibilità papale non data che dal 1870. Avrete voi tanto ardimento?
I popoli passeranno indifferenti forse accanto a questioni teologiche, delle quali non intendono e non sentono la importanza: ma per quanto siano indifferenti ai principi, non lo sono punto dei fatti. Ora non v’illudete! se decretate il dogma della infallibilità papale, i protestanti, nostri avversari, monteranno sulla breccia tanto più arditi, in quanto che avranno contro di noi e in loro favore, la storia, mentre noi non avremo contro loro, che le nostre negative. Che cosa diremo loro quando faranno marciare davanti al pubblico i vescovi di Roma da Luca a sua santità Pio Nono?
Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi trionferemmo su tutta la linea; ma ohimè! non è così..- Grida: silenzio, silenzio! basta, basta!
Non gridate, Monsignori! Temere la storia è darsi per vinti: e d'altronde se faceste passare sopra di lei le acque del Tevere, non ne cancellereste una pagina. Lasciatemi parlare e sarò breve, per quanto il comporta questo importante subietto.
Il papa Vigilio (538) comprò il papato da Belisario, luogotenente dell’imperatore Giustiniano: è vero che, rompendo la promessa, pagò nulla.
È egli canonico questo mezzo di cingere la tiara? Il secondo Concilio di Calcedonia l’aveva formalmente condannato. In uno dei suoi canoni si legge "che il vescovo, il quale ottiene il vescovato per danari, lo perda e sia degradato".
Il papa Eugenio IV. (1145) imitò Vigilio. San Bernardo, fulgida stella del suo secolo, rimproverò il papa dicendogli: "Potresti indicarmi alcuno in questa gran città di Roma, che ti abbia ricevuto per papa, senza che abbia ricevuto oro od argento?"
Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco alle porte del tempio, sarà egli inspirato dallo Spirito Santo? Avrà diritto d’insegnare infallibilmente alla Chiesa?
Conoscete pur troppo la storia di Formoso, perchè io la renda più grave. Stefano XI. fece disseppellire il suo corpo, vestirlo di abiti pontificali, e tagliategli le dita, con le quali dava la benedizione lo fece gettare nel Tevere, e lo dichiarò spergiuro e illegittimo. Egli poi fu dal popolo imprigionato, avvelenato e strangolato: ma vedete il giusto rimetter delle cose: Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni X, riabilitarono la memoria di Formoso.
Ma direte, queste son favole, non storia. Favole! andate Monsignori, andate alla biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo storico del papato e gli annali del Baronio (anno 897).
Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per l’onore della santa Sede; ma quando si tratta di definire un domma, che può provocare un gran scisma in mezzo di noi, l’amore che portiamo alla nostra venerabile madre Chiesa cattolica, apostolica e romana, c’impone silenzio – Aggiungo.
Il dotto Cardinale Baronio, parlando della corte papale, dice (prestate attenzione Venerabili fratelli, a queste parole) "Qual era in quel tempo la faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa, non dominando a Roma che onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano, permutavano, toglievano vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i falsi papi, venivan posti sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912)."
Quelli erano falsi papi, non veri, si replica: e sia pure: ma in tal caso, Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede di Roma non è stata occupata che da antipapi, come troverete voi il filo della successione pontificale?
La chiesa ha ella potuto fare a meno per un secolo e mezzo del suo capo, e trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di questi antipapi figurano nell’albero genealogico del papato, e certamente bisognava bene che fossero tali, quali Baronio li dipinge, perchè Genebrardo, il grande adulatore dei papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901). "Questo secolo è sventurato, imperocchè per 150 anni circa, i papi sono del tutto decaduti dalle virtù dei loro antecessori, essendo piuttosto apostati, che apostolici."
Capisco come l’illustre Baronio abbia dovuto, narrando questi fatti dei vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto. Parlando di Giovanni XI. (931), bastardo di papa Sergio e di Marozia, quegli scriveva queste parole nei suoi annali. "La santa Chiesa, cioè la romana, ha dovuto vilmente esser calpestata da un tal mostro". Giovanni XII (946) eletto papa a 18 anni per influenza di cortigiane, non era punto meglio del suo antecessore.
Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto laidume: mi taccio di Alessandro VI., padre e amante di Lucrezia: trasvolo su Giovanni XXII. (1316), che negava l’immortalità dell’anima e fu deposto dal santo concilio ecumenico di Costanza.
Alcuni asseriscono che questo concilio non fosse che un concilio particolare. E sia pure: ma se gli ricusate ogni autorità, per essere logicamente conseguenti, bisogna tenere per illegale la nomina di Martino V. (1417). Che cosa avverrà allora della successione papale? Potrete voi trovarne il bandolo?
Non parlo degli scismi che hanno disonorato la chiesa. In codesti sventurati giorni, la sede di Roma era occupata da due, e qualche volta da tre competitori: quale di questi era il vero papa?
Riassumendomi dico, se voi decretate la infallibilità dell’attuale vescovo di Roma, vi abbisognerà stabilire la infallibilità di tutti i precedenti, senza escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la storia è là, che stabilisce con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi hanno errato nei loro insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi avari, incestuosi, omicidi, simoniaci sono stati vicari di Gesù Cristo? Oh! Venerabili fratelli, sostenere tale enormità, sarebbe tradire Cristo peggio di Giuda: sarebbe gettargli del fango nel volto. (Grida: Giù dal pulpito! zitto, silenzio l’eretico!)
Venerabili fratelli, voi gridate: ma non sarebbe cosa più dignitosa pesare le mie ragioni e le mie prove sulla bilancia del santuario? Credetemi, la storia non si rifà: ella è là e lo sarà in eterno per protestare energicamente contro il domma della infallibilità papale. Voi lo ploclamerete all’unanimità, ma meno un voto, il mio!
I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su noi, attendono da noi il rimedio agl’innumerevoli mali che disonorano la Chiesa: gl’inganneremo nelle loro speranze? Qual non sarebbe innanzi a Dio la nostra responsabilità, se ci lasciassimo fuggire questa solenne occasione che Dio ci ha data, per render salda la vera fede?
Afferriamola, fratelli; armiamoci di un santo coraggio; facciamo un violento e generoso sforzo; torniamo agl’insegnamenti apostolici: imperocchè, fuori di questi, non abbiamo che errori, tenebre e false tradizioni.
Valghiamoci della nostra ragione e della nostra intelligenza, per avere gli apostoli e profeti a nostri soli maestri infallibili, intorno alla domanda per eccellenza "che mi convien fare per essere salvato?" Ciò deciso, noi avremo posta la base della nostra dommatica.
Fermi ed immobili sulla roccia stabile e incrollabile della Santa Scrittura, divinamente inspirata, fiduciosi andremo innanzi al secolo, e come l’apostolo Paolo, in presenza dei liberi pensatori, non vorremo saper altro che G. Cristo, e Gesù Cristo crocifisso: lo conquisteremo con la predicazione della follìa della croce, come Paolo conquistò i retori di Grecia e di Roma, e la Chiesa romana avrà il suo glorioso 89. – (Grida clamorose – Abbasso, fuori il protestante, il calvinista, il traditore della chiesa!)
Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano: se il mio dire è caldo, la testa è fredda: io non sono nè di Lutero nè di Calvino, nè di Paolo, nè di Apollo, ma di Cristo. – (Nuove grida – Anatema, Anatema all’apostata!)
Anatema! Monsignori, Anatema! voi sapete bene che non protestate contro di me, ma contro i santi apostoli, sotto la cui protezione vorrei che questo concilio ponesse la Chiesa. Ah! se coperti dei loro sudarii, uscissero dalle loro tombe, vi parlerebbero essi un linguaggio differente dal mio?
Che cosa direste loro, quando coi loro scritti vi dicessero che il papato ha deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi con tanto coraggio hanno predicato e confermato col loro generoso sangue? Ardireste dir loro: Noi preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri papi, dei nostri Bellarmino, e Ignazio di Loiola? Nò, nò, mille volte nò, a meno che non abbiate chiuse le orecchie per non udire, gli occhi bendati per non vedere, la intelligenza ottusa per non intendere.
Ah! se colui che regna nei cieli vuole aggravare su noi la sua mano, siccome fece su Faraone, non ha bisogno di permettere ai soldati di Garibaldi di scacciarci dalla città eterna, non ha che lasciar fare di Pio IX un Dio, come abbiamo fatto della Beata Vergine una dea.
Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul pendio odioso e ridicolo, su cui vi siete posti. Salvate la Chiesa dal naufragio che la minaccia, domandando alle sole sante scritture la regola di fede, che dobbiamo credere e professare. Ho detto. Dio mi aiuti!
Queste ultime parole furono ricevute con i più plateali segni di disapprovazione. Tutti i padri si alzarono; molti uscirono dalla sala; buon numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccol drappello di Francesi ed Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero fraternamente la mano, e gli mostrarono esser concordi nel suo modo di pensare.
Questo discorso nel secolo XVI avrebbe procurato al coraggioso vescovo la gloria di morire sul rogo: nel secolo attuale, provoca lo sdegno di Pio IX e di tutti coloro che vogliono abusare della ignoranza dei popoli.
Poveri ciechi! "Cadranno nella fossa ch’eglino stessi hanno fatta" Salmo VII 15.
vescovo Georg Joseph ( o Juraj Josip ) Strossmayer
vescovo di Ðakovo (Croazia)
Josip Juraj Strossmayer (Osijek, 4 febbraio 1815 – Đakovo, 8 maggio 1905) è stato un vescovo cattolico croato.
Strossmayer fu eletto vescovo di Ðakovo l'8 novembre 1849 e conservò la stessa cattedra episcopale fino alla morte. Fu un vescovo mecenate e la sua attività di promozione culturale segnò il risveglio della cultura croata nell’Ottocento. Diede vita assieme a Rački e a Jagić ad alcune delle più importanti istituzioni culturali croate: l’Accademia jugoslava (1867) a Zagabria, l’università di Zagabria (1874) e la Galleria delle belle arti (1884). Amico di Mihajlo Obrenović, sotto il suo auspicio vennero rafforzate alcune istituzioni culturali preesistenti. Incentivò la nascita di giornali e di riviste letterarie e scientifiche.
Grazie al suo supporto Dimitr Miladinov pubblicò a Zagabria nel 1861 i "Canti popolari bulgari raccolti dai fratelli Miladinov Dimitr e Konstantin ed editi da Konstantin"; grazie a lui emerse anche la giovane Maria Jurić Zagorka poi scrittrice croata di successo del primo Novecento.
Al Concilio Vaticano I si mantenne su posizioni antiinfallibiliste.